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XXXVIII

Nè dei preghi materni; onde nudrita
Pagana fosti, e 'l vero a te celai.
Crescesti; e in arme valorosa e ardita
Vincesti il sesso e la natura assai ;
Fama e terra acquistasti: e qual tua vita
Sia stata poscia, tu medesma il sai;
E sai non men che servo insieme e padre
Io t'ho seguíta fra guerriere squadre.

XXXIX

Jer poi su l'alba alla mia mente, oppressa
D'alta quïete e simile alla morte,
Nel sonno s'offerì l'immago stessa;
Ma in più turbata vista, e in suon più forte,
Ecco, dicea, fellon, l'ora s' appressa
Che dee cangiar Clorinda e vita e sorte;
Ma sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo.
Ciò disse, e poi n' andò per l'aria a volo.

XL

Or odi dunque tu, che 'l ciel minaccia
A te, diletta mia, strani accidenti.
Io non so; forse a lui vien che dispiaccia
Ch' altri impugni la fe de' suoi parenti;
Forse è la vera fede. Ah! giù ti piaccia
Depor quest' arme e questi spirti ardenti.
Qui tace, e piange: ed ella pensa e teme;
Chè un altro simil sogno il cor le preme.

XLI

Rasserenando il volto, alfin gli dice:
Quella fe seguirò che vera or parme;
Che tu col latte già della nutrice
Sugger mi festi, e che vuoi dubbia or farme:
Nè per temenza lascerò (nè lice

A magnanimo cor) l'impresa e l'arme;
Non, se la morte nel più fier sembiante
Che sgomenti i mortali, avessi innante.

XLII

Poscia il consola; e, perchè il tempo giunge
Ch'ella deve ad effetto il vanto porre,
Parte, e con quel guerrier si ricongiunge
Che si vuol seco al gran periglio esporre.
Con lor s'aduna Ismeno, e instiga e punge
Quella virtù che per sè stessa corre;
E lor porge di zolfo e di bitumi

Due palle, e 'n cavo rame ascosi lumi.

XLIII

Escon notturni e piani, e per lo colle
Uniti vanno a passo lungo e spesso;
Tanto che a quella parte, ove s'estolle
La macchina nemica, omai son presso.
Lor s'infiamman gli spirti, e 'l cor ne bolle,
Nè può tutto capir dentro a sè stesso:
Gl'invita al foco, al sangue un fero sdegno.
Grida la guardia, e lor dimanda il segno.

XLIV.

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Essi van cheti innanzi; onde la guarda
All' arme all' arme in alto suon raddoppia :
Ma più non si nasconde, e non è tarda
Al corso allor la generosa coppia.
In quel modo che fulmine o bombarda
Col lampeggiar tuona in un punto e scoppia,
Movere ed arrivar, ferir lo stuolo
Aprirlo e penetrar, fu un punto solo.

XLV

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E forza è pur che fra mill' arme e mille
Percosse il lor disegno alfin riesca.
Scopriro i chiusi lumi, e le faville
S'appreser tosto all' accensibil esca,
Ch' ai legni poi le avvolse, e compartille.
Chi può dir come serpa e come cresca
Già da più lati il foco? e come folto
Turbi il fumo alle stelle il puro volto?

1

XLVI

Vedi globi di fiamme oscure e miste
Fra le rote del fumo in ciel girarsi.
Il vento soffia, e vigor fa ch' acquiste
L'incendio, e in un raccolga i fochi sparsi.
Fere il gran lume con terror le viste
De' Franchi, e tutti son presti ad armarsi.
La mole immensa, e sì temuta in guerra,
Cade; e breve ora opre sì lunghe atterra.

XLVII

Due squadre de' cristiani intanto al loco
Dove sorge l'incendio, accorron pronte.
Minaccia Argante: Io spegnerò quel foco
Col vostro sangue; e volge lor la fronte.
Pur ristretto a Clorinda, a poco a poco
Cede, e raccoglie i passi a sommo il monte.
Cresce, più che torrente a lunga pioggia,
La turba, e li rincalza, e con lor poggia.

XLVIII

Aperta è l'aurea porta, e quivi tratto
È il re, ch' armato il popol suo circonda,
Per raccorre i guerrier da sì gran fatto,
Quando al tornar fortuna abbian seconda.
Saltano i duo sul limitare; e ratto
Diretro ad essi il Franco stuol v' inonda :
Ma l'urta e scaccia Solimano; e chiusa
È poi la porta,
porta, e sol Clorinda esclusa.

XLIX

Sola esclusa ne fu, perchè in quell' ora
Ch' altri serrò le porte, ella si mosse;
E corse ardente è incrudelita fuora
A punir Arimon, che la percosse.
Punillo; e 'l fero Argante avvisto ancora
Non s'era ch'ella si trascorsa fosse;
Chè la pugna e la calca e l'aer denso
Ai cor togliea la cura, agli occhi il senso.

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L

Ma poichè intepidì la mente irata
Nel sangue del nemico, e in sè rivenne,
Vide chiuse le porte, e intornïata
Sè da' nemici; e morta allor si tenne.
Pur, veggendo ch'alcuno in lei non guata,
Nov' arte di salvarsi le sovvenne:

Di lor gente s'infinge, e fra gl'ignoti
Cheta s'avvolge; e non è chi la noti.

LI

Poi, come lupo tacito s'imbosca
Dopo occulto misfatto, e si desvía;
Dalla confusion, dall' aura fosca
Favorita e nascosa ella sen gía.
Solo Tancredi avvien che lei conosca :
Egli quivi è sorgiunto alquanto pria;
Vi giunse allor ch'essa Arimone uccise:
Vide e segnolla, e dietro a lei si mise.

LII

Vuol nell' armi provarla: un uom la stima
Degno, a cui sua virtù si paragone.
Va girando colei l'alpestre cima

Verso altra porta, ove d'entrar dispone.
Segue egli impetüoso; onde assai prima
Che giunga, in guisa avvien che d'armi suone,
Ch'ella si volge, e grida: O tu, che porte,
Che corri sì? Risponde: Guerra e morte.

LIII

Guerra e morte avrai, disse; io non rifiuto
Dárlati, se la cerchi: e ferma attende.
Non vuol Tancredi, che pedon veduto
Ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'uno e l'altro il ferro acuto,
Ed aguzza l'orgoglio, e l'ire accende;
E vansi a ritrovar, non altrimenti
Che duo tori gelosi e d'ira ardenti.

LIV

Degne d'un chiaro Sol, degne d'un pieno
Teatro opre sarían si memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno
Chiudesti e nell'obblío fatto sì grande,
Piacciati ch'io nel tragga, e 'n bel sereno
Alle future età lo spieghi e mande.
Viva la fama loro; e tra lor gloria
Splenda del fosco tuo l'alta memoria.

LV

Non schivar, non parar, non ritirarsi
Voglion costor, nè qui destrezza ha parte.
Non dánno i colpi or finti, or pieni, or scarsi :
Toglie l'ombra e 'l furor l'uso dell'arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi

A mezzo il ferro; il piè d'orma non parte:
Sempre è il piè fermo, e la man sempre in moto;
Nè scende taglio invan, nè punta a yoto.

LVI

L'onta irrita lo sdegno alla vendetta;
E la vendetta poi l'onta rinnova :
Onde sempre al ferir, sempre alla fretta
Stimol novo s'aggiunge e cagion nova.
D'or in or più si mesce, e più ristretta
Si fa la pugna: e spada oprar non giova;
Dansi co pomi, e, infelloniti e crudi,
Cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.

LVII.

Tre volte il cavalier la donna stringe
Con le robuste braccia; ed altrettante
Da que'nodi tenaci ella si scinge,
Nodi di fier nemico, e non d'amante.
Tornano al ferro; e l'uno e l' altro il tinge
Con molte piaghe e stanco ed anelante
E questi e quegli alfin pur si ritira,
E dopo lungo faticar respira.

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