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XLVI

Così scendendo dal natío suo monte

Non empie umíle il Po l' angusta sponda;
Ma sempre più, quanto è più lunge al fonte,
Di nove forze insuperbito abbonda:
Sovra i rotti confini alza la fronte
Di tauro, e vincitor d'intorno inonda;
E con più corna Adria respinge, e pare
Che guerra porti, e non tributo, al mare.

XLVII

Goffredo, ove fuggir l'impaurite

Sue genti vede, accorre, e le minaccia:
Qual timor, grida, è questo? ove fuggite?
Guardate almen chi sia quel che vi caccia.
Vi caccia un vile stuol, che le ferite
Nè ricever nè dar sa nella faccia;
E, se'l vedranno incontra a sè rivolto,
Temeran l'arme sol del vostro volto.

XLVIII

Punge il destrier, ciò detto, e là si volve
Ove di Soliman gl'incendj ha scorti.
Va per mezzo del sangue e della polve
E de' ferri e de' rischi e delle morti:
Con la spada e con gli urti apre e dissolve
Le vie più chiuse e gli ordini più forti;
E sossopra cader fa d'ambo i lati

Cavalieri e cavalli, arme ed armati.

XLIX

Sovra i confusi monti a salto a salto
Della profonda strage oltre cammina.
L'intrepido Soldan, che 'l fero assalto
Sente venir, nol fugge, e nol declina;
Ma se gli spinge incontra, e 'l ferro in alto
Levando per ferir gli s'avvicina.

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Oh quai duo cavalieri or la fortuna

Dagli estremi del mondo in prova aduna!

TASSO, Vol. II.

L

Furor contra virtute or qui combatte
D'Asia in un picciol cerchio il grande impero.
Chi può dir come gravi e come ratte
Le spade son, quanto il duello è fero?
Passo qui cose orribili che fatte
Furon, ma le coprì quell' aer nero;
D'un chiarissimo sol degne, e che tutti
Siano i mortali a riguardar ridutti.

LI

Il popol di Gesù, dietro a tal guida
Audace or divenuto, oltra si spinge;
E de' suoi meglio armati all' omicida
Soldano intorno un denso stuol si stringe.
Nè la gente fedel più che l'infida,
Nè più questa che quella il campo tinge;
Ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti,
Egualmente dan morte, e sono estinti.

LII

Come pari d'ardir, con forza pare

Quinci austro in guerra vien, quindi aquilone;
Non ei fra lor, non cede il ciclo o'l mare,
Ma nube a nube, flutto a flutto oppone:
Così nè ceder qua, nè là piegare

Si vede l'ostinata aspra tenzone;
S'affronta insieme orribilmente urtando
Scudo a scudo, elmo ad elmo, e brando a brando.

LIII.

Non meno intanto son feri i litigi

Dall' altra parte, ei guerrier folti e densi :
Mille nuvole e più d'angioli stigi

Tutti han pieni dell' aria i campi immensi
E dan forza ai Pagani; onde i vestigi
Non è chi indietro di rivolger pensi:
E la face d'inferno Argante infiamma,
Acceso ancor della sua propria fiamma.

LIV

Egli ancor dal suo lato in fuga mosse
Le guardie, e ne' ripari entrò d'un salto:
Di lacerate membra empiè le fosse,
Appianò il calle, agevolò l'assalto;
Si che gli altri il seguiro, e fer poi rosse
Le prime tende di sanguigno smalto.
E seco a par Clorinda, o dietro poco
Sen gía, sdegnosa del secondo loco.

LV

E già fuggiano i Franchi, allorchè quivi
Giunse Guelfo opportuno, e 'l suo drappello;
E volger fe' la fronte ai fuggitivi,
E sostenne il furor del popol fello.
Così si combatteva; e 'l sangue in rivi
Correa egualmente in questo lato e in quello.
Gli occhi fra tanto alla battaglia rea
Dal suo gran seggio il re del ciel volgea.

LVI

Sedea colà, dond' egli è buono e giusto
Dà legge al tutto, e 'l tutto orna e produce
Sovra i bassi confin del mondo angusto,
Ove senso o ragion non si conduce;
E della eternità nel trono augusto
Risplendea con tre lumi in una luce.
Ha sotto i piedi il fato e la natura,
Ministri umili, e 'l moto e chi 'l misura,

LVII

E'l loco, e quella che, qual fumo o polve,
La gloria di qua giuso, e l'oro e i regni,
Come piace lassù, disperde e volve,
Ne, Diva, cura i nostri umani sdegni.
Quivi ei così nel suo splendor s'involve,
Che v'abbaglian la vista anco i più degni,
D'intorno ha innumerabili Immortali,
Disegualmente in lor letizia eguali.

LVIII

Al gran concento de' beati carmi
Lieta risuona la celeste reggia.

Chiama egli a sè Michele, il qual nell' armi
Di lucido diamante arde e lampeggia;
E dice lui: Non vedi or come s' armi
Contra la mia fedel diletta greggia

L'empia schiera d'Averno, e insin dal fondo
Delle sue morti a turbar sorga il mondo?

LIX

Va, dille tu che lasci omai le cure

Della guerra ai guerrier, cui ciò conviene;
Nè il regno de' viventi, nè le pure
Piagge del ciel conturbi ed avvelene:
Torni alle notti d'Acheronte oscure,
Suo degno albergo, alle sue giuste pene;
Quivi sè stessa, e l'anime d'abisso
Cruci: così comando, e così ho fisso.

LX

Qui tacque e 'l duce de guerrieri alati
S'inchinò riverente al divin piede ;
Indi spiega al gran volo i vanni aurati
Rapido si, ch' anco il pensiero eccede :
Passa il foco e la luce, ove i beati
Hanno lor gloriosa immobil sede;
Poscia il puro cristallo e 'l cerchio mira
Che di stelle gemmato incontra gira;

LXI

Quinci d'opre diversi e di sembianti
Da sinistra rotar Saturno e Giove,
E gli altri, i quali esser non ponno erranti
Se angelica virtù gl' informa e move;
Vien poi da' campi lieti e fiammeggianti
D'eterno dì, là donde tuona e piove,
Ove sè stesso il mondo strugge e pasce,
E nelle guerre sue more e rinasce.

LXII

Venía scotendo con l'eterne piume
La caligine densa e i cupi orrori :
S'indorava la notte al divin lume,
Che sporgea scintillando il volto fuori.
Tale il sol nelle nubi ha per costume
Spiegar dopo la pioggia i bei colori ;
Tal suol fendendo il liquido sereno
Stella cader della gran madre in seno.

LXIII

Ma giunto ove la schiera empia infernale
Il furor de' Pagani accende e sprona,
Si ferma in aria in sul vigor dell' ale
E vibra l'asta, e lor così ragiona:
Pur voi dovreste omai saper con quale
Fólgore orrendo il re del mondo tuona,
O nel disprezzo e ne' tormenti acerbi
Dell' estrema miseria anco superbi.

LXIV

Fisso è nel ciel, ch' al venerabil segno
Chini le mura, apra Sión le porte.
A che pugnar col fato? a che lo sdegno
Dunque irritar della celeste corte?
Itene, maledetti, al vostro regno,
Regno di pene e di perpetua morte;
E siano in quegli a voi dovuti chiostri
Le vostre guerre ed i trionfi vostri.

LXV

Là incrudelite, là sovra i nocenti
Tutte adoprate pur le vostre posse
Fra i gridi eterni, e lo stridor de' denti,
El suon del ferro e le catene scosse.
Disse; e quei ch'egli vide al partir lenti,
Con la lancia fatal spinse e percosse :
Essi gemendo abbandonâr le belle
Region della luce e l'auree stelle;

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