Così scendendo dal natío suo monte
Non empie umíle il Po l' angusta sponda; Ma sempre più, quanto è più lunge al fonte, Di nove forze insuperbito abbonda: Sovra i rotti confini alza la fronte Di tauro, e vincitor d'intorno inonda; E con più corna Adria respinge, e pare Che guerra porti, e non tributo, al mare.
Goffredo, ove fuggir l'impaurite
Sue genti vede, accorre, e le minaccia: Qual timor, grida, è questo? ove fuggite? Guardate almen chi sia quel che vi caccia. Vi caccia un vile stuol, che le ferite Nè ricever nè dar sa nella faccia; E, se'l vedranno incontra a sè rivolto, Temeran l'arme sol del vostro volto.
Punge il destrier, ciò detto, e là si volve Ove di Soliman gl'incendj ha scorti. Va per mezzo del sangue e della polve E de' ferri e de' rischi e delle morti: Con la spada e con gli urti apre e dissolve Le vie più chiuse e gli ordini più forti; E sossopra cader fa d'ambo i lati
Cavalieri e cavalli, arme ed armati.
Sovra i confusi monti a salto a salto Della profonda strage oltre cammina. L'intrepido Soldan, che 'l fero assalto Sente venir, nol fugge, e nol declina; Ma se gli spinge incontra, e 'l ferro in alto Levando per ferir gli s'avvicina.
Oh quai duo cavalieri or la fortuna
Dagli estremi del mondo in prova aduna!
Furor contra virtute or qui combatte D'Asia in un picciol cerchio il grande impero. Chi può dir come gravi e come ratte Le spade son, quanto il duello è fero? Passo qui cose orribili che fatte Furon, ma le coprì quell' aer nero; D'un chiarissimo sol degne, e che tutti Siano i mortali a riguardar ridutti.
Il popol di Gesù, dietro a tal guida Audace or divenuto, oltra si spinge; E de' suoi meglio armati all' omicida Soldano intorno un denso stuol si stringe. Nè la gente fedel più che l'infida, Nè più questa che quella il campo tinge; Ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti, Egualmente dan morte, e sono estinti.
Come pari d'ardir, con forza pare
Quinci austro in guerra vien, quindi aquilone; Non ei fra lor, non cede il ciclo o'l mare, Ma nube a nube, flutto a flutto oppone: Così nè ceder qua, nè là piegare
Si vede l'ostinata aspra tenzone; S'affronta insieme orribilmente urtando Scudo a scudo, elmo ad elmo, e brando a brando.
Non meno intanto son feri i litigi
Dall' altra parte, ei guerrier folti e densi : Mille nuvole e più d'angioli stigi
Tutti han pieni dell' aria i campi immensi E dan forza ai Pagani; onde i vestigi Non è chi indietro di rivolger pensi: E la face d'inferno Argante infiamma, Acceso ancor della sua propria fiamma.
Egli ancor dal suo lato in fuga mosse Le guardie, e ne' ripari entrò d'un salto: Di lacerate membra empiè le fosse, Appianò il calle, agevolò l'assalto; Si che gli altri il seguiro, e fer poi rosse Le prime tende di sanguigno smalto. E seco a par Clorinda, o dietro poco Sen gía, sdegnosa del secondo loco.
E già fuggiano i Franchi, allorchè quivi Giunse Guelfo opportuno, e 'l suo drappello; E volger fe' la fronte ai fuggitivi, E sostenne il furor del popol fello. Così si combatteva; e 'l sangue in rivi Correa egualmente in questo lato e in quello. Gli occhi fra tanto alla battaglia rea Dal suo gran seggio il re del ciel volgea.
Sedea colà, dond' egli è buono e giusto Dà legge al tutto, e 'l tutto orna e produce Sovra i bassi confin del mondo angusto, Ove senso o ragion non si conduce; E della eternità nel trono augusto Risplendea con tre lumi in una luce. Ha sotto i piedi il fato e la natura, Ministri umili, e 'l moto e chi 'l misura,
E'l loco, e quella che, qual fumo o polve, La gloria di qua giuso, e l'oro e i regni, Come piace lassù, disperde e volve, Ne, Diva, cura i nostri umani sdegni. Quivi ei così nel suo splendor s'involve, Che v'abbaglian la vista anco i più degni, D'intorno ha innumerabili Immortali, Disegualmente in lor letizia eguali.
Al gran concento de' beati carmi Lieta risuona la celeste reggia.
Chiama egli a sè Michele, il qual nell' armi Di lucido diamante arde e lampeggia; E dice lui: Non vedi or come s' armi Contra la mia fedel diletta greggia
L'empia schiera d'Averno, e insin dal fondo Delle sue morti a turbar sorga il mondo?
Va, dille tu che lasci omai le cure
Della guerra ai guerrier, cui ciò conviene; Nè il regno de' viventi, nè le pure Piagge del ciel conturbi ed avvelene: Torni alle notti d'Acheronte oscure, Suo degno albergo, alle sue giuste pene; Quivi sè stessa, e l'anime d'abisso Cruci: così comando, e così ho fisso.
Qui tacque e 'l duce de guerrieri alati S'inchinò riverente al divin piede ; Indi spiega al gran volo i vanni aurati Rapido si, ch' anco il pensiero eccede : Passa il foco e la luce, ove i beati Hanno lor gloriosa immobil sede; Poscia il puro cristallo e 'l cerchio mira Che di stelle gemmato incontra gira;
Quinci d'opre diversi e di sembianti Da sinistra rotar Saturno e Giove, E gli altri, i quali esser non ponno erranti Se angelica virtù gl' informa e move; Vien poi da' campi lieti e fiammeggianti D'eterno dì, là donde tuona e piove, Ove sè stesso il mondo strugge e pasce, E nelle guerre sue more e rinasce.
Venía scotendo con l'eterne piume La caligine densa e i cupi orrori : S'indorava la notte al divin lume, Che sporgea scintillando il volto fuori. Tale il sol nelle nubi ha per costume Spiegar dopo la pioggia i bei colori ; Tal suol fendendo il liquido sereno Stella cader della gran madre in seno.
Ma giunto ove la schiera empia infernale Il furor de' Pagani accende e sprona, Si ferma in aria in sul vigor dell' ale E vibra l'asta, e lor così ragiona: Pur voi dovreste omai saper con quale Fólgore orrendo il re del mondo tuona, O nel disprezzo e ne' tormenti acerbi Dell' estrema miseria anco superbi.
Fisso è nel ciel, ch' al venerabil segno Chini le mura, apra Sión le porte. A che pugnar col fato? a che lo sdegno Dunque irritar della celeste corte? Itene, maledetti, al vostro regno, Regno di pene e di perpetua morte; E siano in quegli a voi dovuti chiostri Le vostre guerre ed i trionfi vostri.
Là incrudelite, là sovra i nocenti Tutte adoprate pur le vostre posse Fra i gridi eterni, e lo stridor de' denti, El suon del ferro e le catene scosse. Disse; e quei ch'egli vide al partir lenti, Con la lancia fatal spinse e percosse : Essi gemendo abbandonâr le belle Region della luce e l'auree stelle;
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