in quella ingegnosa comparazione, di cui egli servesi nel canto ultimo del Poema: Qual è colui, che sognando vede; E dopo 'l sogno la passione impressa Nel cor lo dolce, che nacque da essa. Meraviglioso quindi sembrar dovrebbe, se non si conoscesse il sapere immenso del Poeta immenso del Poeta nostro, il trovare in lui accennate alcune idee dei gran Filosofi dei più colti tempi. Infatti in queste due terzine: O immaginativa, che ne rube Tal volta si di fuor, ch'uom, non si accorge, Chi muove te, sel senso non ti porge? in queste due terzine, io dico, chi non travede un lam " E d'ogni operazion, che merta pene,. ognuno travederà parimente il principio dato a tutte le umane azioni da Elvezio, e dagli altri gran Filosofi del secolo decimottavo. Osservisi poi quanto ingegnosamente una famosa metafisica quistione, tante volte agitata, il Poeta presenti in quelle due terzine, che cominciano il canto IV. della cantica stessa:! Intra duo cibi distanti, e moventi D'un modo, prima si morria di fame, i Si Si si starebbe un'agno, intra duo brame Si si starebbe un cane intra duo damé ♪ Ed infine tra questi tratti morali del primo genere pomposamente si mostra quella sublime similitudine dell' ultima cantica allorchè l' Alighieri dice che dal veder oggetti sempre più piacevoli e vaghi si accorgeva di progredir nel paradiso, appunto come per sentir più dilettanza Bene operando, l'uom di giorno in giorno. verità che comprender non possono se non le anime pu re e virtuose, e che esprimer con tanta felicità non poteva, se non colui, il quale con sublime concetto detto avea in un altro luogo del suo Poema: Se non che conscienzia m'assicura, La buona compagnia, che l'uom frangheggia II. Tra i tratti morali del secondo genere, quelli, vale a dir, coi quali Dante attacca, e flagella gli umani vizj, merita da prima un distinto posto la descrizion dell' avarizia simboleggiata, come si è detto dalla lupa apparsagli in quello allegorico bosco; la quale di tutte brame Sembrava carca, con la sua magrezza; e la quale, di lì a poco ei soggiunge ha natura si malvagia e ria, Che mai non empie la bramosa voglia, offrendoci uno squallido, ma vero quadro di quel vizio nefando, che più d' appresso attacca tra gli uomini il principio della sociabilità, e che più di qualunque altro spregievoli ed abietti gli rende agli occhi dei loro simili :per cui, in quell' energica apostrofe del canto XX. del Pur Che più che tutte l'altre bestie hai preda; Attacca in egual modo l'Alighieri un altro bassissimo ♦ disprezzevol vizio, cioè la vile timidezza, in quelle due terzine del canto II dell' Inferno: Se io ho ben la tua parola intesà, 0" " des La qual molte fiate l'uomo ingombra on St,nchè d'onrata impresa lo rivolve, Come falso veder bestia, quand' ombra. Udiamlo quindi, nel canto VII. della stessa cantica, scrivere i furibondi effetti dell'ira, mentre di narrar fins ge ciò che i dannati per quella colpa tra essi facevano : Questi si percotean non pur con mano, Ma con la testa, col petto, e co piedi Troncandosi co' denti a brano a brano. Consecutivamente nel canto XII. del Purgatorio, dopo aver descritti quell' intagli, che immagina di aver nel pavimento veduti, e che molti orgogliosi puniti rappresen tavano con noni minor forza percuote Dante terigia, in quella tanto energica apostrofe 29 Or superbite, envia col viso altieron, goal cene. Figliuoli d'Eva, e non chinatel volto. Sicchè veggiate'l vostro mal sentiero.. Ed in quell'altra satirica terzina del Paradiso, ove chia ma la famiglia Adimari (49) onto an ni samontta be P 2 L (49) La famiglia Adimari non poteva essere amata da Dante; Boca caccia uno de' componenti di essa si usurpò tutt'i beni confiscati del Poeta nostro, e per timore di averglieli a restituire, si oppose sempre al di lui ritorno in Patria. L'oltracotata schiatta, che s'indraca Dietro a chi fugge, ed a chi mostra'l dente; , ci descrive egli poscia il vero carattere dell' aborrito or goglioso; che tale ordinariamente si mostra sol coll' impotente e col debole mentre basso e vil tu lo vedi col potente e col forte, al contrario di ciò che si osserva nei caratteri veramente dignitosi, e di nobile fierezza dotati. E come avvi poi certi vizj, che ridicoli essendo per lor natura, vanno più col ridicolo, che con altre armi attaccati, così il Poeta nostro, persuaso del bel detto di Orazio: ridendo diceré verum quis vetat? non in altro modo, attacca il vizio della gola, allorquando fingey nel canto XXIV. del Purgatorio, che il suo Amico Forese, mostrandogli alcuni spiriti che quella colpa purgavano con un lungo e stentato digiuno, ad esso dicas Questi e mostrò col dito) è Buonagiunta Buonagiunta da Lucca (50) e quella faccia, Di là da lui più che l'altre trapunta, Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia, Dal Torso fu, e purga col digiuno 1 Le anguille di Bolsena, e la vernaccia; alludendo al Papa Martino IV., già canonico di Tours, che si racconta esser stato tanto ghiotto, da far morire le an guille del lago di Bolsena nella vernaccia, specie di vin biance, per renderle più saporose; e che, per il soverchio mangiare, peri affogato dalla pinguedine. Ma con più serio e più frizzante modo piglia Dante ad attaccare in un altro luogo della cantica stessa l'uso " im (50) Buonagiunta degli Orbicciani, da Lucca, fu compositore di canzoni, e sonetti, e grande amico dell' Alighieri. impudico di vestire delle sue concittadine, allorquando L'andar mostrando con le poppe il petto. O spiritali, o altre discipline? Anche la donnesca curiosità e lasmania che han le donne di voler tutto sapere vien dal Poeta nostro sferzata in quelle quattro terzine nelle quali, scagliandosi contro il peccato di Eva, comincia egli per dire: Ed ecco un lustro subito trascorse Da tutte parti per la gran foresta, Per l'aer luminoso onde buon zelo Che là, dove ubbidia la terra, e 'l Cielo Fem (51) Si è questo un luogo montuoso della Sardegna, ove le donne vanno quasi nude, e son sensualissime |