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in quella ingegnosa comparazione, di cui egli servesi nel canto ultimo del Poema:

Qual è colui, che sognando vede;

E dopo 'l sogno la passione impressa
Rimane, e l'altro alla mente non riede;
Cotal son io, che quasi tutta cessa
Mia visione, ed. ancor mi distilla

Nel cor lo dolce, che nacque da essa. Meraviglioso quindi sembrar dovrebbe, se non si conoscesse il sapere immenso del Poeta immenso del Poeta nostro, il trovare in

lui accennate alcune idee dei gran Filosofi dei più colti tempi. Infatti in queste due terzine:

O immaginativa, che ne rube

Tal volta si di fuor, ch'uom, non si accorge,
Perchè d'intorno suonin mille tube;

Chi muove te, sel senso non ti porge?
Muoveti lume, che nel Ciel s' informa,
Per se, o per voler che giù lo scorge;

in queste due terzine, io dico, chi non travede un lam
po del sistema ideologico di Kant? Ed in quell' altra,
ove l'Alighieri finge che da Virgilio detto gli sia;
Quinci comprender puoi ch' esser conviene
Amor sementa in voi d'ogni virtute,

"

E d'ogni operazion, che merta pene,. ognuno travederà parimente il principio dato a tutte le umane azioni da Elvezio, e dagli altri gran Filosofi del secolo decimottavo.

Osservisi poi quanto ingegnosamente una famosa metafisica quistione, tante volte agitata, il Poeta presenti in quelle due terzine, che cominciano il canto IV. della cantica stessa:!

Intra duo cibi distanti, e moventi

D'un modo, prima si morria di fame,
Che liber uomo l'un recasse a' denti:
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Si

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Si si starebbe un'agno, intra duo brame
Di fieri lupi, igualmente temendo

Si si starebbe un cane intra duo damé ♪

Ed infine tra questi tratti morali del primo genere pomposamente si mostra quella sublime similitudine dell' ultima cantica allorchè l' Alighieri dice che dal veder oggetti sempre più piacevoli e vaghi si accorgeva di progredir nel paradiso, appunto

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come per sentir più dilettanza

Bene operando, l'uom di giorno in giorno.
S'accorge che la sua virtute avanza:

verità che comprender non possono se non le anime pu re e virtuose, e che esprimer con tanta felicità non poteva, se non colui, il quale con sublime concetto detto avea in un altro luogo del suo Poema:

Se non che conscienzia m'assicura,

La buona compagnia, che l'uom frangheggia
Sotto l'osbergo del sentirsi pura.

II. Tra i tratti morali del secondo genere, quelli, vale a dir, coi quali Dante attacca, e flagella gli umani vizj, merita da prima un distinto posto la descrizion dell' avarizia simboleggiata, come si è detto dalla lupa apparsagli in quello allegorico bosco; la quale

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di tutte brame

Sembrava carca, con la sua magrezza;
E molte genti fè già viver grame:

e la quale, di lì a poco ei soggiunge

ha natura si malvagia e ria,

Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopol pasto ha più fame che prìa;

offrendoci uno squallido, ma vero quadro di quel vizio nefando, che più d' appresso attacca tra gli uomini il principio della sociabilità, e che più di qualunque altro spregievoli ed abietti gli rende agli occhi dei loro simili :per

cui, in quell' energica apostrofe del canto XX. del Pur
gatoria, meritamente esclama, egli ancora: 401
Maladetta się tu, antica lupa,

Che più che tutte l'altre bestie hai preda;
Per la tua fame senza fine cupa.

Attacca in egual modo l'Alighieri un altro bassissimo ♦ disprezzevol vizio, cioè la vile timidezza, in quelle due terzine del canto II dell' Inferno:

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Se io ho ben la tua parola intesà,
Rispose del Magnanimo, quell' ambra,
L'anima tua è da viltate offesa;

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des

La qual molte fiate l'uomo ingombra on St,nchè d'onrata impresa lo rivolve, Come falso veder bestia, quand' ombra. Udiamlo quindi, nel canto VII. della stessa cantica, scrivere i furibondi effetti dell'ira, mentre di narrar fins ge ciò che i dannati per quella colpa tra essi facevano : Questi si percotean non pur con mano, Ma con la testa, col petto, e co piedi Troncandosi co' denti a brano a brano. Consecutivamente nel canto XII. del Purgatorio, dopo aver descritti quell' intagli, che immagina di aver nel pavimento veduti, e che molti orgogliosi puniti rappresen tavano con noni minor forza percuote Dante

terigia, in quella tanto energica apostrofe 29

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Or superbite, envia col viso altieron, goal

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cene. Figliuoli d'Eva, e non chinatel volto. Sicchè veggiate'l vostro mal sentiero.. Ed in quell'altra satirica terzina del Paradiso, ove chia ma la famiglia Adimari (49) onto an ni samontta be

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P 2

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(49) La famiglia Adimari non poteva essere amata da Dante; Boca caccia uno de' componenti di essa si usurpò tutt'i beni confiscati del Poeta nostro, e per timore di averglieli a restituire, si oppose sempre al di lui ritorno in Patria.

L'oltracotata schiatta, che s'indraca

Dietro a chi fugge, ed a chi mostra'l dente;
O ver la borsa, com'agnel si placa;

,

ci descrive egli poscia il vero carattere dell' aborrito or goglioso; che tale ordinariamente si mostra sol coll' impotente e col debole mentre basso e vil tu lo vedi col potente e col forte, al contrario di ciò che si osserva nei caratteri veramente dignitosi, e di nobile fierezza dotati.

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E come avvi poi certi vizj, che ridicoli essendo per lor natura, vanno più col ridicolo, che con altre armi attaccati, così il Poeta nostro, persuaso del bel detto di Orazio: ridendo diceré verum quis vetat? non in altro modo, attacca il vizio della gola, allorquando fingey nel canto XXIV. del Purgatorio, che il suo Amico Forese, mostrandogli alcuni spiriti che quella colpa purgavano con un lungo e stentato digiuno, ad esso dicas Questi e mostrò col dito) è Buonagiunta Buonagiunta da Lucca (50) e quella faccia, Di là da lui più che l'altre trapunta, Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia, Dal Torso fu, e purga col digiuno

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Le anguille di Bolsena, e la vernaccia; alludendo al Papa Martino IV., già canonico di Tours, che si racconta esser stato tanto ghiotto, da far morire le an guille del lago di Bolsena nella vernaccia, specie di vin biance, per renderle più saporose; e che, per il soverchio mangiare, peri affogato dalla pinguedine.

Ma con più serio e più frizzante modo piglia Dante ad attaccare in un altro luogo della cantica stessa l'uso

"

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(50) Buonagiunta degli Orbicciani, da Lucca, fu compositore di canzoni, e sonetti, e grande amico dell' Alighieri.

impudico di vestire delle sue concittadine, allorquando
finge che da Forese stesso detto gli sia :
Tant' è a Dio più cara e più diletta
La vedov ella mia, che tanto amai,
Quanto 'n bene operare è più soletta:
Chè la Barbagia di Sardigna (51) assai
Nelle femmine sue è più pudica,
Che la Barbagia, dov' io la lasciai.
O dolce frate, che vuoi tu ch'io dica?
Tempo futuro m' è già nel cospetto,
Cui non sarà quest' ora molto antica,
Nel qual sarà in pergamo interdetto
Alle sfacciate donne Fiorentine:

L'andar mostrando con le poppe il petto.
Quai Barbare fur mai, quai Saracine,
Cui bisognasse, per farle ir coperte,.

O spiritali, o altre discipline?

Anche la donnesca curiosità e lasmania che han le donne di voler tutto sapere vien dal Poeta nostro sferzata in quelle quattro terzine nelle quali, scagliandosi contro il peccato di Eva, comincia egli per dire: Ed ecco un lustro subito trascorse

Da tutte parti per la gran foresta,
Tal che di balenar mi mise in forse:
Ma perche' balenar, come vien resta,
E que, durando, più e più splendeva,
Nel mio pensar dicea: che cosa è questa?
Ed una melodia dolce correva

Per l'aer luminoso onde buon zelo
Mi fe' riprender l'ardimento d' Eva;

Che là, dove ubbidia la terra, e 'l Cielo

Fem

(51) Si è questo un luogo montuoso della Sardegna, ove le donne

vanno quasi nude, e son sensualissime

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