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Poscia più che 'l dolor potè 'l digiuno

Or chi mai sarà colui che d'ammirazione altissima non resti preso per questo sommo Poeta, che tanto al vivo, e tanto eloquentemente ha saputo descrivere una così luttuosa vicenda; e chi dopo si trista e orribil narrazione da pietà mosso, e di orror raccapricciato non sentirassi; e animandosi di una giusta indegnazione contro gli spietati autori di tanta barbarie, non farà eco a quella sublime e immaginosa apostrofe del Poeta stesso, con lui gridando :

Ahi Pisa, vituperio delle genti

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Del bel paese là dove 'l si suona,
Poichè i vicini a te punir son lenti,
Muovasi la Capraja, e la Gorgona,

E faccian siepe ad Arno in su la foce;
Si ch'egli annieghi in te ogni persona?

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e

Ma forse meno ai Pisani attribuir si doveva una si gran scelleraggine, che, all' ignoranza, ed all' empio miscaglio di pietà e di ferocia, che la caratteristica fu di quei tempi iniqui. Per cui ben odiosi e spregevoli sono, saran sempre quei vili detrattori delle scienze, dei lumi, e delle filosofiche dottrine, che sole i costumi nostri hanno addolciti, e sole così atroci e scellerate punizioni hanno dai nostri tempi felicemente allontanate presso i popoli più civilizzati e più colți, almeno

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Non credasi però che solo quei due mentovati canti della Divina Commedia contengan pezzi di vero e sublime patetico, giacchè in altri canti ancora, forse men conosciuti, leggonsi squarci per avventura niente a quelli inferiori.

Nel canto X dell' Inferno, a cagion d' esempio, finge il Posta di trovar tra i dannati per incredulità l'ombra di Cavalcante Cavalcanti, la quale alzatasi dall' arca infocata ove era rinchiusa, dic' egli:

D

D' intorno mi guardò, come talento
Avesse di veder s'altri era meco;
Ma poichè il suspicciar fu tutto spento;
Piangendo disse se per questo cieco
Carcere vai per altezza d'ingegno,
Mio, figlio ov'è, e perchè non è teco?
Ed io a lui: da me stesso non vegno;
Colui, che attende là, per qui ini mena,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
Le sue parole, e'l modo della pena

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Maveana di costui già fetto il nome;
liq Però, fu la risposta così piena.
lion Di, subito drizzato gridò: comer

-Diceste egli ebbe non viv' egli ancora ?
Non fiere glocchi suoi lo dolce lome?
Quando si accorse! d' alcuna dimora,

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Ch'io faceva dinanzi alla risposta,

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Supin ricadde,ce più non parve fuora 2

Squarcio non sola in grado sommo patetico, ma conte nente ancora nella seconda terzina un pensiero nuovo sublime ed ingegnoso, e un delicato omaggio dell' Alighieri all'illustre suo amico Guido Cavalcanti.

Così pure nel canto XIII. della cantica stessa narra il Poeta che inoltratosi in un bosco, di cui riporteremo in appresso l'orribil descrizione udi varj dolorosi lamenti intorno a se, ch' ei credette da prima venir da gente celata tra quelle spaventose piante, ma che Virgilio gl ingiunse poi di coglierne alcuni rami, se di tai lamenti ei voleva conoscer la cagione; indi soggiunge:

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Allor pors'io la mano un poco. avante,

E colsi un ramascello d' un gran pruno,
El tronco suo gridò: perchè mi schiante?
Da che fatto fu poi di sangue bruno,

Ricominciò a gridar; perchè mi scerpi?

Non

( ૩૦ )

Non hai tu spirto di pietade alcuno? Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi: Ben dovrebbesser la tua man più pia, Se state fossim' anime di serpi! Come d'un stizzo verde, ch' arso sia Dall'un dei capi, che dall' altro geme; E cigola per vento che va via; Così di quella scheggia usciva insieme Parole, e sangue: ond' io lasciai la cima Cadere, e stetti come l'uom che teme. 'Quest' anima nel tronco racchiusa era quella del famoso Cancellier di Federico II., Pietro delle Vigne, che per il dolore di vedersi calunniato da invidiosi cortigiani presso Signor suo, a se diede la morte, come egli stesso racconta al Poeta nostro, pateticamente dicendogli

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I' son colui, che tenni ambo le chiavi
Del cuor di Federigo, e che le volsi,
Serrando e disserrando, sì soaviy

Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi:
Fede portai al glorioso uffizio.

7

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Tanto, ch'io ne perdei le vene, e i polsi.
La meretrice, che mai dall' ospizio
Di Cesare non torse gl'occhi putti,
Morte comune, e delle corti vizio,
Infiammò contra me gl'animi tutti;

E gl'infiammati infiammar sì Augusto,
Che i lieti onor tornaro in tristi lutti !
L'animo mio per disdegnoso gusto,

Credendo col morir fuggir disdegno;

Ingiusto fece me contra me giusto.

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il

Nel principio del canto VIII. del Purgatorio è da rilevarsi eziandio con quai dolci e affettuosi tratti dipinga Dante quella soave malinconia, che il suon delle campane annunziatore della cessazion del giorno eccitar suole nel

le

le anime sensibili, e lontane, dagli oggetti ad esse cari:
Era già ora che volge desio)
Anaviganti e intenerisce il cuore you
Lo dichhanedetto a dolci amici addio;
E che la nuova peregrin d'amoren sag
Punge, se odesquilla di lontano,

Che paja il giorno pianger che si muore.

Egualmente nei canti XXX. e XXXI. della cantica stessa di sublime patetico son ripieni quei belli squarci deseriyenti la partenza di Virgilio, l'apparizion di Beatri-l ge, ei rimproveri da questa fatti al suo Amante. Comin-> cia il primo dalla seguente vaga comparazione espressa con sonori e dolcissimi versi:ian02 For

Io vidi già nel cominciar deb giorno
La parte oriental tutta rosatayo
E l'altro ciel di bel sereno adorno:
E la faccia del Sol nascere ombrata
Si, che per temperanza di vapori
L'occhio lo sostenea lunga fiata;
Così dentro una nuvola di fiori,
Che dalle mani angeliche saliva
E ricadeva in giù, dentro e di fuori,
Sovra candido vel, cinta d'oliva,

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Donna mapparve, sotto verde manto,
Vestita di color di fiamma viva.

E lo spirito mio, che già cotanto

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Tempo era stato, che alla sua presenzano
Non era di stupor, tremando, affranto,
Senza; degl' occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù che da lei mosse M
D'antico amor senti lapgran potenza.

Tosto che nella vista mi percossenioved
L'alta virtù, che già maveab trafittows 7 oblano!
Prima ch'io fuor di puerizia fosse,

didesty Vol-V

Volsimi alla sinistra col rispitto

Col quale il fantolin corre alla mammi;
Quando ha paura, o quando egli è afflitto;
Per dicere a Virgilio: men che dramma
Di sangue m'è rimasa che non tremi;
Conosco i segni dell'antica fiamma :
Ma Virgilio n' avea lasciati scemi i

Di se, Virgilio dolcissimo padre,

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Virgilio, a cni per mia salute dièmi di ib e›
In seguito Beatrice essendosi messa a sgridar Dante e
quei beati spiriti ch' eran con lei pregata avendola di
esser più verso l'amico indulgente, essa risponde loro:
Alcun tempo 'l sostenni col mio volto
Mostrando gli occhi giovanetti a lui,
Meco il menava in dritta parte volto
Si tosto come in su la soglia fui

Di mia seconda etade, e mutai vita,
Questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,
E bellezza, e virtù cresciuta m'era
Fu io a lui men cara, e men gradita:
E volse i passi suoi per via non vera,
Immagini di ben seguendo false,

Che nulla promission rendono intera :

Quindi nell' appresso canto direttamente volgendosi ella al Poeta, con amarezza gli dice

Mai non t'appresentò natura, od arte

Piacer, quanto le belle membra in ch'io
Rinchiusa fui, e che son 'n terra sparte:

E se'l sommo piacer si ti fallo

Per la mia morte, qual cosa mortale

Dovea poi trarre te nel suo desio?

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Pensiero veramente delicato e subline, di cui nello stesso immortal Cantore di Laura appena il simigliante tro var si potrebbe.

E per

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