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virtuoso Romano la luce delle quattro, stelle, che in quel cielo al Poeta apparirono, se per quèste stelle come è verosimile, le quattro cardinali virtù ebbe egli in mira di simboleggiare.

CAPITOLÓ IV.

Difetti di condotta nel Poema, e conchiusione 2

Convi

Onviene nondimen confessare, per amor del vero, cha incontrasi nella Divina Commedia assai spesse volte uno stranissimo mescuglio di sagro e di profano, come la surriferita custodia del Purgatorio, data a Catone Caronte con Satana, le Furie coi Demonj del Cristianesimo, e molte altre manifeste incongruenze Convien confessare ancora che vi si trovano, benchè non sovente, alcune cose bassissime; come nel canto XXII. dell' Inferno quella rissa tra i Demonj Malebranche, e i barattieri impegolati; nel canto XXX,, quella singolar disputa tra il Greco Si none, e il falsario Maestro, Adamo, la quale è tanto bas◄ sa e puerile che il Poeta stesso, che finge di essersi 'messo ad ascoltarla, soggiunge poi che Virgilio, ne lo sgri dasse dicendogli:

E fa ragion ch'i'ti sia sempre allato,
Se più avvien che fortuna t' accoglia
Dove sien genti in simigliante piato,
Che voler ciò, udire è bassa voglia;

e come pure nel canto. XXXI. quel prender per i capelli Bocca degli Abati, e minacciarlo di tutti strapparglieli s'ei non rivelava il suo nome. Convien confessare in egual modo che sonovi nel Poema, molte servili inutili ed infelici imitazioni di Virgilio, e che il Poeta invilup pasi in un caos teologico. e simbolico in sul finir della cantica del Purgatorio, e inviluppato vi resta in quasi

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tutta la cantica del Paradiso, ove specialmente leggersi non può senza nausea quella continuata e lunga allegoria del matrimonio tra S. Francesco e la Povertà, tra S. Domenico e la Fede. Pure, malgrado tutti questi difetti, puossi francamente conchiudere che avvi nella condotta e nel piano della Divina Commedia più giudizio golarità di quel che ordinariamente si crede; e che quel Poema dovrà sempre reputarsi un dei più ingegnosi e dei più sublimi prodotti dello spirito umano. Nè ciò si dissimula punto lo stesso Alighieri, anzi con ragione arriva per sino a sperare che l'alto nome ch' ei ritratto ne aveva, grazia procurar gli potesse presso i suoi ingrati concittadini, è gloria non lieve nella Patria sua; come veder si può dalla introduzione del canto XXV. del Paradiso, ove dic' egli:

Se mai continga che'l Poema sacrò,

Al quale ha posto mano e Cielo, e Terras
Si che m'ha fatto per più anni macro >
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra

Del bello ovile, ov'io dormì agnellò,
Nimico a Lupi, che gli danno guerra;
Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò Poeta, ed in sul fonte

Del mio battesmo prenderò 1 cappello.

E quindi puossi ancora conchiudere che Voltaire nulla aggiunse alla sua fama allorchè parlò della Divina Commedia come di un Poema stravagante e mostruoso, giacchè forse ne parlò senza intenderla. Ma di non altro io ardirò tacciare quel sommo Francese, sè non di un troppo precipitato giudizio, persuaso essendo che senza un lunghissimo studio, ed una pazienza infinita non possono in modo alcuno gustarsi i pregi, e le bellezze del Padre dell' Italiana poesia, e che se ciò non è del tutto impossibile per un Oltramontano come lo ha mostrato il SiC 2 gnor

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gnor di Mérian, ed ultimamente in Parigi il Signor Ginguenè nelle sue belle lezioni su Dante, è però certamente di una difficoltà incalcolabile, poichè neppure agli Ita liani stessi può dirsi che facile interamente riesca.

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DISCORSO SECONDO

STILE DELLA DIVINA COMMEDIA

INTRODUZIONE

LE

E Bellezze, e i pregi di elocuzione che ad ogni prs so incontransi nella Divina Commedia sono tali e tantiche dir potrebbesi collo stesso Alighieri:

I non potrei ritrar di tutti a pieno,

Perocchè si mi caccia il lungo tema,

(

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Che molte volte al fatto il dir vien meno. E un indizio di vero genio in quel sommo Poeta si è che sebbene ei scrivesse in una lingua affatto nuova e di cui egli stesso il creatore dir si poteva, pure le sue idee son sempre espresse con verità, esattezza, forza, e concisione grandissima; perlochè la Divina Commedia è tuttavia e sarà sempre per gli Italiani un gran modello di elocuzione poetica, allorchè alle vere bellezze e ai veri pregi di essa si appiglieranno, e non giå alle bellezze false, o ai difetti, che non frequentemente, ma pur qualche volta in quel Poema si trovano. Dallo stile di Dante il Petrarca il Tasso e Ariosto presero la verità, l'eloquenza, la fluidità, e l' armonia; ma il Marini, e i seicentisti presero forse il manierato, e il concettoso; come alcuni Poeti dei posterio

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ri tempi han tratto il gonfio, il contorto; e l' oscuro: poeti d'altronde stimabili, i quali se con pedantesca servilità non avesser voluto imitare il Padre dell' Italiana poesia, e se limitati si fossero ad appropriarsene solo la forza e la verità delle idee, l'esattezza e la concision nell' esprimerle, avrebbero procurato forse al secol nostro il vanto sull'aureo secolo dell'Italiana letteratura, se non nell' invenzione poetica, giacchè, cosa inventar si può mai dopo la Gerusalemme, e l'Orlando?) almeno nei pregi di elocuzione, e nell'altezza dei pensieri, e delle immagini.

Del resto, se lo stile è in poesia il modo, e l'ordine che il poeta tiene nell' esprimer le sue idee con opportune parole, per mezzo delle quali ad eccitar ei giunga or la compassione, or la meraviglia, ora il terrore e ora le sensazioni più dilettevoli e più soavi; e se per ottener questo scopo avvi principalmente bisogno di verità di pensieri, di espressioni forti e concise, d'immagini sublimi, di eloquenti narrazioni, d'ingegnosi contrasti, di opportune e vere similitudini, di esattezza d' epiteti, di fluidi dolci e sonori versi, e talvolta di versi aspri alquanto ed intralciati per servire al prodigioso effetto del 1armonia imitativa; se dunque per la perfezione, dello stile, poetico avvi di tutte queste parti bisogno esaminiamo in qual modo nella sua Divina Commedia esatto sia stato l'Alighieri in osservarle.

CA

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