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CANTO XXX.

ARGOMENTO

che

Tratta il Poeta in questo trentesimo canto di tre altre maniere di falsificatori. Di quegli che hanno finto sè essere altri; la cui pena è di correre, e di morder coloro che hanno falsificate le monete, sono quelli della seconda maniera; ed hanno per pena l'essere idropici, e sempre stimolati da sete. L'ultima è di coloro che hanno falsificato il parlare; e questi, giacendo l'uno sopra l'altro, sono offesi d'ardentissima febbre. Infine introduce a contendere insieme certo maestro Adamo e Simone da Troia.

Nel

tempo che Giunone era crucciata, Per Semelè, contra 'l sangue tebano,

I

Magnifico fa il principio del canto questo lungo periodo e il seguente, non tanto per l'andamento del verso, grave e sostenuto, quanto per le forti immagiui che vi si ritraggono, tenendo il lettore per lungo tratto sospeso, attento e deside roso; nei quali sentimenti sino al fine è forzato di sostenersi con diletto. BIAGIOLI.

1 2 Giunone, moglie di Giove. Giunon, il Vat. 3199. era crucciata, -Per Semelè, amata da Giove, e resa da lui gravida di Bacco [a]. — contra 'l sangue tebano, per essere Semele figlia di Cadmo, fondator di Tebe. Segno su l'ultima e di Semelè l'accento, perchè richiede il verso che pronunzisi

[a] Ovid. Met. lib. 11, 260, e segg·

Come mostrò già una ed altra fiata,
Atamante divenne tanto insano,

Che, veggendo la moglie con due figli
Andar carcata da ciascuna mano,
Gridò: tendiam le reti, sì ch'io pigli
La lionessa e i lioncini al varco;
E poi distese i dispietati artigli,
Prendendo l'un, ch'avea nome Learco;
E rotollo, e percosselo ad un sasso;

E quella s'annegò con l'altro incarco.

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questo nome come da' Greci e Latini pronunziavasi, colla sillaba di mezzo breve, e coll'ultima lunga. con lo sangue tebano, ha l'Ang. E. R.

3 Come mostrò già una ed altra fiata, la Nidob.; Come mostrò una e altra fiata, l'altre ediz., il Vat. 3199, il cod. Ang., e con essi la 3. rom. edizione. Intendi: come d'esser tale, cioè crucciata contra il tebano sangue. mostrò, fece palese, non una, ma più fiate.

4 al 12 Atamante ec. Una delle vendette prese da Giunone contra dei Tebani per la detta cagione, fu quella di far da Tesifone, furia infernale, invadere Atamante Re di Tebe, e divenire in guisa furioso, che, veggendosi venir incontro Ine sua moglie, e sorella di Semele, carcata con due figli ( »✦ co’due figli, il Vat. 3199) da ciascuna mano, portante cioè un per braccio i due di lui figliuolini Learco e Melicerta, apprendendola per una leonessa con due leoncini, gridò: tendiam le reti (quelle cioè colle quali soglionsi prendere le fiere ), sì ch'io pigli ec.: indi da forsennato una cosa proponendo ed altra oprando, strappato dalle materne braccia Learco, ed aggiratolo a guisa di pietra in fionda, lo scagliò contro di un sasso, e lo uccise: fatto, per cui la madre fu sì dolente, che disperatamente con l'altro bambino rimasole nelle braccia gittossi in mare [a]. » Venir carcata, al v. 6., legge il Vat. 3199; coll' altro carco, al v. 12., l'Ang. E. R. e il Vat. 3199.

[a] Ovid. Met. lib. iv. 513. e segg.

- е

E quando la fortuna volse in basso

L'altezza de' Troian, che tutto ardiva,
Sì che 'nsieme col regno il Re fu casso,

Ecuba trista, misera e cattiva,

Poscia che vide Polisena morta,

E del suo Polidoro in su la riva Del mar si fu la dolorosa accorta, Forsennata latrò, sì come cane; Tanto il dolor le fe'la mente torta. Ma nè di Tebe furie, nè troiane

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Si vider mai in alcun tanto crude,
Non punger bestie, non che membra umane,

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13 al 15 E quando ec. volse in basso; detto allusivamente all'atto che alla fortuna affingesi di volgere continuamente sua ruota, o, come dice Dante, sua spera [a]. L'altezza, la grandezza del potere. - che tutto ardiva, fino a rapir Elena al di lei sposo Menelao, Re di Sparta. -fu casso, per fu estinto e distrutto.

16 al 20 Ecuba ec. Distrutta Troia, Ecuba moglie dell'estinto Priamo, Re troiano, condotta dai Greci in cattività insieme con sua figliuola Polisena, vedendosi primieramente scannata la figlia in sacrificio sopra la tomba d'Achille, ed incontrandosi poscia sui tracj lidi nel cadavero dell'estinto suo figlio Polidoro, latravit conata loqui, scrive Ovidio [b].

21 Tanto il dolor le fe'ec., legge la Nidob.; Tanto dolor le fe', l'altre edizioni. torta vale stravolta.

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22 nè di Tebe furie, nè troiane, cioè nè furie in Tebani, nè furie in Troiani. →→→ non di Tebe, ha l'Ang. E. R.

23 24 in alcun vale dentro d'alcan, annidate in alcun. Oltre che viene questa intelligenza confermata dalla lezione, che due versi sotto ammette la Nidobeatina, unitamente a moltissimi testi veduti dagli Accad. della Crusca, fa anche meglio capire la condegnità della pena in questi contraffattori dell'altrui persone; cioè, che, come essi operarono sotto altrui forme, così [a] Inf. vn. 96. [b] Met. xi. 570.

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Quant' io vidi in due ombre smorte e nude,
Che, mordendo, correvan di quel modo,
Che 'l porco, quando del porcil si schiude.
L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo 28
Del collo l'assannò sì, che, tirando,

Grattar gli fece il ventre al fondo sodo.

operino le furie sotto la forma loro. Ma il Biagioli pensa piuttosto che Dante nasconda le furie in quegli spiriti a rammentar loro la qualità del delitto, e la cagione dell'attuale supplizio loro; il che serve a far doppio il dolore; essendo questo sistema uno de'suoi misteri, come lascia talvolta travedere all'attento lettore. Non punger bestie. La particella non è qui, per avviso del Volpi, sovrabbondante; la è cioè come un ripigliamento ad abbondanza fatto delle precedenti negative; nè importa altro senso, che se, mancando essa, scritto fosse punger bestie. Pungere adoperasi per ferire e straziare in qualsivoglia modo.

25 vidi in due ombre, la Nidob. e moltissimi testi veduti dagli Accad. della Cr., e corrisponde ad in alcun due versi sopra.- vidi du' ombre, leggono le altre ediz., e coi codici Vat. 3199 ed Ang. la 3. rom. ediz., giovandosi della costruzione che di questi versi ci offre il Biagioli, cioè: «ma nè furie te» bane tanto crude, nè furie troiane tanto crude si videro mai » in alcuno ; non si videro tanto crude punger bestie, non che » membra umane, quanto crude io le vidi pungere due ombre » smorte e nude. » — Dal canto nostro ci asterremo da cambiamento, non accordando al sig. Biagioli che il nostro P. L. abbia mal inteso questo luogo; che anzi la Nidob. lezione (se il corto veder nostro non c'inganna) ammette una costruzione più semplice e piana, qual'è la seguente : ma nè furie tebane o troiane si videro mai tanto crude in alcuno, quanto crude io le vidi in due ombre smorte ec.

28 in sul nodo ec., e lo addentò in quell'osso o cartilagine prominente dalla parte esteriore della gola nei maschi della specie umana, che il volgo chiama il pomo di Adamo. PoG

GIALI.

29 30 assannò dice invece di afferrò, per istar nella metafora del porco, che ha le sanne: e dice che lo assannò in tal

E l'Aretin, che rimase tremando,

Mi disse: quel folletto è Gianni Schicchi,
E va rabbioso altrui così conciando.
Oh, diss' io lui, se l'altro non ti ficchi
Li denti addosso, non ti sia fatica

A dir chi è, pria che di qui si spicchi.
Ed egli a me: quell'è l'anima antica

Di Mirra scelerata, che divenne

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modo, che, tirandolo e strascinandolo per terra, fece che il fondo sodo, il duro pavimento della bolgia, gli grattasse lo scabbioso ventre. →→→ Ma il Biagioli crede usato qui dal Poeta il verbo assannare non già per istare nella metafora del porco, ma piuttosto a dimostrare la rabbia e la forza dell'arrabbiato spirito. 31 l'Aretin, Griffolino, detto nel prec. canto, v. 109. tirando, invece di tremando, malamente legge il Vat. 3199.

32 folletto, nome degli spiriti che si credono da alcuni nell'aria; ma qui per ispirito infuriato. - Gianni Schicchi (dicono fosse de'Cavalcanti di Firenze), famoso per contraffare l'altrui persone. Una delle prove più segnalate di costui fu quella, che pochi versi sotto racconta il nostro Poeta stesso, cioè ch'essendo morto senza aver fatto testamento messer Buoso Donati, Gianni (indotto dal premio promessogli da Simon Donati della più bella tra le sue cavalle) facesse levar di letto e nascondere il cadavere del recente defunto; e mettendosi egli nel medesimo letto, ingannasse i notaj e i testimoni, facendosi lor credere per Buoso Donati, e facesse testamento tutto in favore di Simone. Pietro Dante afferma, che Buoso Donati fosse anche soffogato dallo Schicchi suddetto; nel che l'Anonimo ed il Boccaccio concordano. E. F. ←

33 conciando, ironicamente per isconciando, guastando, maltrattando. Vocab. della Crusca.

34 se, particella qui pure apprecativa, come nel passato canto, v. 89., ed altrove. - l'altro, intendi folletto.

35 36 →→→ Li unghioni, legge il Vat. 3199. si spicchi,

si scosti.

37 al 41 antica, perocchè stata al mondo molti secoli prima di Gianni suddetto. - Mirra, figliuola di Ciniro, Re di Cipro, che innamoratasi del padre, operò sì, che venne a gia

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