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forma del presente passo una ragione per confermare il parere, ch'egli ha col Daniello comune, che non attraversi le bolge e faccia arco sopra di ciascuna che un solo scoglio e non più, e venga perciò a formare come un ponte solo di parecchi archi: diversamente da quanto ho io inteso e spiegato nel principio del canto xvIII. [a].

Quale contrarietà però di qui si ritragga, io non veggo. Là il Poeta ne descrive tutta la struttura di Malebolge, e però a farne capire ch'erano molti gli scogli che le bolge attraversavano, ed al pozzo di mezzo, quai raggi di ruota, alla testa della medesima si concentravano, dice:

Così da imo della roccia scogli (non scoglio)
Movien, che ricidean gli argini e i fossi

Infino al pozzo, che i tronca e raccogli [b].

e qui Fra Catalano altro non fa, che al bisogno e petizione dei due Poeti indicar loro vicino uno de' medesimi scogli. Che v'è domin di contrasto?

Anzi per questo dire Fra Catalano a Virgilio che un sas so, varcante tutte le bolge, fosse a lui più vicino di quello che si credesse, parmi di poter presumere che non fosse quello la rimanente porzione dello scoglio, su del quale si erano i Poeti fin li condotti, ma di un altro.

Pongasi mente. Appena passato avendo i Poeti il ponte sopra la quinta bolgia, vengono dal demonio Malacoda avvertiti che il li vicino ponte della seguente bolgia era rovinato; e con bugiardamente far loro credere che poco discosto eravi in essere un altro ponte, ne vengono, con la scorta ad essi data d'alcuni demonj, fatti scostar di lì, e camminare a sinistra sul dorso del rotondo argine [c].

Dopo di essersi così camminando allontanati, succedendo tra i demonj che li scortavano baruffa, fuggono soli per paura i due Poeti, e da que'demonj dilungandosi, viepiù conseguentemente dal primiero luogo si discostano [d].

Calatisi i Poeti, per sottrarsi alla temuta ira de' prefati demonj, in fondo della sesta bolgia, ivi continuano a camminare pure a man manca [e], che vale a dire, a scostarsi sempre più dal luogo primo.

Or come mai, dopo d'essersi i Poeti così allontanati dallo scoglio, su del quale avevano le prime cinque bolge attraver

[a] Vedi il cap. x. di quegli Aneddoti [b] Inf. c. xvm. 16. e seg. [c] Inf. c. XXI. 106. e segg. [d] Inf. c. xxn. 151. [e] Verso 68. del presente canto.

Salvo ch'a questo è rotto, e nol coperchia: 136 Montar potrete su per la ruina,

Chè giace in costa, e nel fondo soperchia. Lo Duca stette un poco a testa china,

Poi disse: mal contava la bisogna

139

sato, potè Catalano, del medesimo scoglio parlando, con verità dire, ch'era ad essi vicino più di quello che non credessero? Piuttosto moverebbemi l'altra ragione, che il medesimo autore aggiunge, d'essere all'Inferno un solo ingresso, una sola porta, e anche una via ec., quando cioè fossimo certi che quelli scogli ed archi ad altro non servissero che per far via al pozzo di mezzo; e non ancora o per puntelli e sostegni degli argini, o per salirvi i demonj a meglio vedere ciò che in fondo delle bolge facciano i dannati.

136 Salvo ch'a questo è rotto, così legge il nitidissimo ms. in pergamena della biblioteca Corsini, segnato nella prima pagina col marco B. C., e così riferisce il ch. autore degli Aneddoti, Verona 1790, cap. x., essersi da antica mano emendato nel testo da esso veduto in Firenze, e creduta di Filippo Villani. Salvo che questo è rotto, leggono invece nalamente l'edizioni tutte.e nol coperchia, e non vi fa arco sopra, come lo fa sopra di tutti gli altri valloni. » L'una e l'altra lezione puote egualmente stare, per sentimento del sig. Biagioli. La nostra lezione vuol dire: salvo che il sasso è rotto sopra a questo vallone, e però nol coperchia; e la comune: salvo che questo sasso è rotto, e non coperchia lo (il vallone). ←

137 138 ruina, maceria. - Chè (vale perocchè) in costa, nella falda, giace, non istà erta, ma inclinata, tanto ch'è accessibile. -e nel fondo soperchia, sovrasta, s'innalza sopra la superficie del fondo; altra circostanza che agevolava il salire. 139 Stette un poco a testa china, atto di chi si scopre in

gannato.

140 141 mal contava la bisogna vale, malamente c’insegnava.- Colui che ec., il demonio Malacoda, che aveva detto ai Poeti: (Inf. xxI. 109. e segg.):

E se l'andare avanti pur vi piace,

Andatevene su per questa grotta:

Presso è un altro scoglio, che via face.

Colui che i peccator di là uncina. El Frate: io udi' già dire a Bologna

142

Del diavol vizi assai, tra i quali udi',

Ch'egli è bugiardo, e padre di menzogna.

145

Appresso 'l Duca a gran passi sen gì,
Turbato un poco d'ira nel sembiante:
Ond'io dagl'incarcati mi parti'

Dietro alle

poste delle care piante.

- uncina, attrappa coll' uncino. di qua uncina, il codice Angelico, E. R. ◄◄

142 143 udi'apostrofato per udii, in ambedue questi versi [a].- a Bologna, uon tanto perchè sua patria, quanto perchè città ripiena d'uomini dotti in ogni materia. Ma il Biagioli sospetta esser questo un frizzo satirico dato dal Poeta così del alla passata, e in ciò lo confermano i vv. 58. e segg. XVIII. passato canto. ←

147 incarcati, delle gravi vesti, intendi.

148 poste, orme, pedate. Vedi il Vocab. della Cr. ➡ care piante, parole piene di soave affezione. BIAGIOLI. 4a

[a] Cosi anche Par. xxn. 31., ed il Petrar. canz. 12.

CANTO XXIV.

ARGOMENTO

Con molta difficoltà esce Dante con la fida scorta del suo Maestro Virgilio dalla sesta bolgia. Vede poi che nella settima sono puniti i ladri da velenose e pestifere serpi. E tra questi ladri trova Vanni Fucci da Pistoia, il quale predice alcuni mali della città di Pistoia, e de' suoi Fiorentini.

In quella parte del giovinetto anno,

Che 'l Sole i crin sotto l'Aquario tempra,

Vago è il principio di questo canto, e di gran bellezza questa nuova similitudine, tolta dalla stessa natura ;e sembra questo uno di quei luoghi ove il Poeta vuol mostrarsi quale egli è, cioè ad ogni altro superiore. Il principale suo intendimento si è di ritrarre quanto fu grande il suo sbigottimento, benchè di poca durata, in veder Virgilio si turbato. BIAGIOLI. giovinetto per di fresco incominciato. giovinett'anno, con maggior armonia legge il Vat. 3199, e con esso la rom. edizione. ←

3.

2 Che vale in cui. Vedi il Cinonio [a]. - 'l Sole i crin, i raggi, pe'quali Apolline, che da' poeti fingesi essere il medesimo Sole, appellasi crinito. - sotto l'Aquario, segno del zodiaco, col quale cammina il Sole per circa una terza parte di gennaio e due terze parti di febbraio. - tempra per raffredda, chiosano il Landino e il Daniello; ma però per quello che siegue a dirsi, e dell'accorciamento delle notti e della corta du

[a] Partic. 44. 5.

E già le notti al mezzo dì sen vanno;
Quando la brina in su la terra assempra
L'immagine di sua sorella bianca,
Ma

poco dura alla sua penna tempra,

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rata della brina, e molto più dello stupirsi il villanello alla creduta neve, piego più volentieri ad ispiegare col Vellutello che temperare significhi qui riscaldare, rinforzare alquanto; come di fatto sotto l'Aquario, e massime verso il fine, incomincia il Sole ad invigorire. E dal ferro che per tempera si assoda e fortifica, può intendersi ben detto, che il Sole ancora temperi i crini, i raggi, fortificandoli. Di questo parere è pure il Biagioli, che qui trova dal Poeta nostro imitato l'oraziano temperare, lib. 3. ode 19.:... quis aquam temperet ignibus. ←≈

3 al mezzo dì. Di prendesi in questo luogo per lo spazio di 24 ore, ch'è il di civile. Onde il dire che le notti vanno al mezzo dì, è come a dire, che la durata delle notti scema, e si accosta ad essere di 12 ore. a mezzo dì, legge l'Ang. E. R.- Vuole il Daniello che invece di al mezzo dì si debba leggere al mezzo e i dì; ma il vuole a torto, contro l'autorità di tutti i testi; poichè intendendo per di non il giorno artifiziale, ma il naturale, cioè il nottigiorno voxduepov, il senso è chiarissimo. TORELLI.←

4 al 6 Quando la brina assempra ec. Come assemprar libri e scritture dissero gli antichi Toscani invece di ricopiar libri e scritture (vedi il Vocab. della Crusca al verbo Assemprare,) e come il ricopiar libri e scritture fassi colla temprata penna; così dicendo Dante, che la brina assempra l'immagine di sua sorella bianca, invece di dire, che ricopia la brina in sè stessa l'immagine della neve, a conseguentemente espri merne la poca durata, aggiunge che la tempra, tempra, la temperatura, poco dura alla sua penna. » Il colto lettore in questa descrizione del rigore all'aria e della brevità de' giorni al principio dell'anno non può non vedere un supposto di troppo anticipata cessazione di freddo e di allungamento di giorni. Convien dunque credere che Dante abbia scelta per questa sua similitudine la minor durata possibile dei rigori invernali, e che molto ancora influisca in questo dettaglio l'aggiunta di circa sette giorni di più che facevasi all'anno per isbaglio ai tempi di Dante, cioè quasi tre secoli prima della correzione grego

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