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La bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse:

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136tutto tremante; non essendo ancora ben certo qual fosse in tal atto l'animo di quella. VELLUTELLO. Non già per l'incertezza, ma per l'impeto della passione che lo ardeva. E. F. - pel sommo desiderio e per l'estrema paura. BIAGIOLI.

137 Galeotto fu il libro, e chi ec. Galeotto, nome proprio di uomo, che fu l'infame sensale tra Ginevra e Lancilotto (suddetti). Ma qui in senso di nome appellativo vuol dire, che quella impura leggenda e il suo autore indusse Paolo e Francesca a quella enormità, come Galeotto quei due antichi amanti a corrispondersi illecitamente. Benvenuto da Imola ci dà contezza, con tal nome essersi in quel tempo appellato chiunque facevasi mezzano d'intrighi d'amore: e quindi è, che insegnandosi amorose malizie nelle cento Novelle del Boccaccio, fu loro posto in fronte il cognome di Principe Galeotto, che ritengono nel titolo i testi antichi. VENTURI.

Io però per crederglielo ne vorrei vedere qualch' altro esempio diverso da questo di Dante, e dall'allegato titolo del Decamerone del Boccaccio.

Mai non adopera Dante, fuor di qui, il termine di galeotto, che nel senso di semplice nocchiero; talmente che non ischiva di appellar galeotto perfino lo stesso angelo che tragitta anime dal mondo al Purgatorio [a]: ed ove accade di mentovar ruffiani, mai d'altro che del medesimo chiaro e comun termine di ruffiano si vale :

Ruffian, baratti, e simile lordura [b].

Ruffian, qui non son femmine da conio [c]. Ed il pretendere che al senso di mezzano d'intrighi d'amore, ossia di ruffiano, adoperi qui galeotto, dicendo: Galeotto fu il libro, e chi ec., è un pretendere che stucchevolmente dica Dante cosa che già per la precedente narrativa non può non essere intesa. E chi mai dalla precedente narrativa non capisce più che abbastanza che fu quel libro incentivo al cadere de'due amanti?

Riguardo poi al titolo di Principe Galeotto attribuito alle Novelle del Boccaccio, nè tutti i testi ve lo attribuiscono, nè molto meno piace a tutti la pretesa interpretazione [d].

[a] Purg, n. 27. [b] Inf. xì. 6o. [c] Inf. xvm. 66. [d] Vedi le annotazioni dei deputati alla correzione del Decamerone del Boccaccio, n. 1.

To per me adunque, attesa la universale asserzione de gl'Interpreti (del Boccaccio, di Benvenuto suddetto, del Landino, e di tutti gli altri), che Galeotto stesso, il mezzano degli amori tra Lancilotto e Ginevra, fosse lo scrittore di quel libro, me la sbrigherei con dire, che Galeotto foss' anche il titolo del libro o datogli dall'autore medesimo, ovvero dal volgo attribuitogli dal nome stesso dell'autore (come, per cagion d'esempio, appelliamo comunemente Ariosto il poema l'Orlando Furioso, perchè scritto dall'Ariosto; e Tasso il Goffre do, perchè scritto dal Tasso); e che Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse, vaglia quanto: Galeotto fu il nome del libro, e di chi lo scrisse. Il libro e l'autore che lo scrisse fecero tra Paolo e Francesca la parte che fece Galeotto tra Lancilotto e Ginevra. MAGALOTTI. -che lo scrisse, legge il cod. Vat. 3199. - Il libro che i due Amanti leggevano era il famoso ed antico romanzo detto il Lancilotto, che si legge ancora in alcuni vecchi mss. e nella rarissima ediz. del 1558. Sono esposte in detto libro tutte quelle cose che Dante qui descrive. Stimiamo pregio del nostro Comento il riportar qui parte del capitolo LXVI. di questo libro medesimo, ove si legge chiaramente quel fatal passo, dopo cui Paolo e Francesca più non lessero avanti.

Chi non vede da tutto questo, che il nome di Galeotto si fece in antico, per questa Istoria, sinonimo di mezzano? E

CAPITOLO LXVI.

« Come la Reina conobbe Lancilotto... e come la prima congiunzione fu falla fra Lancilotto e Ginevra per lo mezzo di Galeotto.

Dice la Ginevra a Lancilotto. E quanto è che voi tanto mi amate? Lanc. Dal giorno ch' io fui Cavaliere. Gin. Per la fede adunque che voi mi dovete, donde viene quest'amore che voi avete messo in me? Lanc. Dama, da voi; che di me faceste un vostro amico, se la vostra bocca non mi ha mentito, Amico mio! (dice ella) come? Ed egli: Dama, io venni davanti voiquando io presi licenza dal Re; e vi accomandai a Dio; e dissi ch'io era vostro Cavaliere in tutti i luoghi. E voi mi diceste, che volevate ch'io fossi vostro amico. Ed io dissi: addio, Dama. E voi diceste: addio, mio bello, e dolce amico. Questo fu il motto che mi fece valente uomo, se io il sono: nè mai poscia fui a sì gran pericolo, ch'io non me ne ricordassi : questo motto mi ha riconfortato contra tutti i nemici miei: questo mi ha guarito da tutti i mali: questo mi ha fatto ricco in mezzo la povertà. Per mia fè, disse la Reina, questo motto fu detto in buon'ora; ma io non la piglio per cosa certa, come voi fate; perchè ho detto questo a molti valenti uomini. E tale è la costuma de'Cavalie

ri, che fanno sembiante di pregiar tali cose a molte Dame, le quali non sono loro niente a cuore. E questo ella diceva per vedere come potesse darli martello, perchè vedeva bene che non pretendeva ad altro amore che al suo; ma si dilettava di travagliarlo. Ond' egli ebbe si grande angoscia, che mancò poco che non si venisse meno; e la Reina, ch' ebbe paura che non cadesse, chiama Galeotto; ed egli viene correndo. Quando vide che 'l suo compagno era si travagliato, n'ebbe tanto dolore, che più non potea. Ahi! Dama (dice Galeotto) voi ce lo potrete ben torre; ma questo sarà gran danno.......... Dama, se Dio m'aiuti, è se gli può ben credere: che, così com' egli è 'l più valente di tutti gli uomini, così il suo cuore è più veritabile che tutti gli altri . . . . Per Dio! Donna, abbiate di lui pietà! e fate voi così per me, com' ie farei per voi, se voi mi pregaste. Gin. Che pietà volete ch'io n'abbia? Gal. Dama, voi sapete ch' ei v'ama sovra tutte; che ha fatto per voi più che Cavaliere facesse mai per donna. Certamente (dic'ella) ha egli fatto per me più di quello, ond' io lo potessi mai rimeritare: e non potrebbe richiedermi cosa ch'io gli sapessi negare. Ma egli non mi richiede di niente! anzi è tanto maniaconioso, che è maraviglia. Douna, (dice Galeotto) abbiate pietà! egli è tale, che v`ama più che sè medesimo. E Ginevra : se m'aiuti Dio, io non sapea cosa alcuna della sua volontà.... Io ne avrò tale pietà quale voi vorrete. E Galeotto : Dama, voi avete fatto quello di che io v'ho richiesto : e altresì debb' io fare ciò che voi mi chiederete. Ma se egli (risponde Ginevra) s'egli non mi richiede di niente! Certamente (risponde Galeotto) e' non s'ardisce nè vi domanderà mai cosa alcuna per amore, perchè teme; ma io ve ne prego per lui, e sebbene io non ve ne pregassi, si lo dovreste voi procacciare; perchè più ricco tesoro non potreste conquistare giammai. Certamente, dic'ella, il so bene, e farò tutto che voi mi comandate. E Galeotto; Dama, gran mercè. Vi prego adunque che gli doniate l'amor vostro; e lo ritegnate sempre per vostro Cavaliere; che divegnate sua leale Dama tutta la vostra vita; e l'arete fatto più ricco che se gli aveste donato tutto il mondo. Certamente, dice la Reina, lo prometto; solo ch'egli sia mio, io sarò tutta sua; e per voi sieno emendate tutte le cose mal fatte. Dama, (dice Galeotto ) or conviene che si faccia il cominciamento. Baciatelo avanti me per principio di vero amore. Del baciare, dic'ella, io qui non veggo nè loco, ne tempo. Non dubitate, ch'io non lo facessi; anzi volentieri lo farei. Ma queste Dame che sono qui, non potrebbe essere che non vedessero. Non pertanto, se voi il volete, io lo bacerò volentieri. E Lancilotto ne fu sì allegro, che non potè rispondere, se non tanto che dire: Dama, gran mercè. E Galeotto: o Donna, del suo volere non dubitate, perchè è già vostro; e sappiate bene che niuno se ne accorgerà. Noi tre saremo insieme come se noi consultassimo. Di che mi farei io pregare? diss' ella; più lo voglio io che voi. Allora si traggono da parte sorridendo, e fanno sembiante di consigliare. E la Reina vede che il Cavaliere non ardisce, e lo prende, e lo bacia avanti Galeotto assai lungamente. E la Dama di Malheault seppe di vero ch'ella lo baciò.... Allora si levarono tutti a tre: ed era fattosi notte grandemente; ma la Luua era levata, e facea chiaro si, ch'ella lucea per tutta la prateria,»

Quel giorno più non vi leggemmo avante. Mentre che l'uno spirto questo disse,

L'altro piangeva sì, che di pietade lo venni meno come s'io morisse, E caddi, come corpo morto cade.

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con ragione Dante potè dire che quel libro tenne per Francesca quel loco stesso, che Galeotto già tenne per la bella Ginevra. Fa specie che niuno dei Chiosatori di Dante abbia mai riferito questo luogo, colpa forse o della rarità del libro, o dell'oscenità sua. Imperocchè è uno de' libri più antichi che la Chiesa abbia proibiti. E lo fulmino Innocenzo III. al tempo stesso di Dante con una Bolla data l'anno 1313. (Vedi Ducang. Diss. vI. sulla Stor. di san Luigi Re.) PERTIGARI. E. F.◄◄

138 Quel giorno più non vi ec. La particella vi vale in quello, in quel libro (Vedi il Cinon. Partic. 251. 3.); e vuole Francesca dire, che per quel giorno non andò più avanti la lettura in quel libro. Accenna con nobil tratto di modestia l'interrompimento della lettura, ed in conseguenza il passaggio dai tremanti baci agli amorosi abbracciamenti. MAGALOTTI. -II padre di Aquino ha elegantemente tradotto questo passo così: « Distulimus post haec sontes evolvere chartas,

כג

» Sontes! heu miseram! gravius nocuere remotae.» E. F.◄◄ 141 Io venni meno come s'io morisse, legge la Nidob., ove l'altre ediz., I'venni men così com'io morisse; →→→ e così legge anche il Vat. 3199. Io venni meno si come morisse, ha il cod. Ang. E. R. Morisse, per morissi, antitesi in gra

zia della rima.

ARGOMENTO

Trovasi il Poeta, poichè in sè stesso fu ritornato, nel terzo cerchio, ove sono puniti i golosi, la cui pena è l'esser fitti nel fango, e parimente tormentati da grandissima pioggia con grandine mescolata, in guardia di Cerbero, il quale latrando con tre bocche, di continuo gli offende ed affligge. Tra così fatti golosi trovando Ciacco, seco delle discordie di Fiorenza ragiona. Finalmente si parte per discendere nel quarto cerchio.

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tornar della mente, che si chiuse Dinanzi alla pietà de' due cognati, Che di tristizia tutto mi confuse, Nuovi tormenti, e nuovi tormentati

I

4.

1 Al tornar (sottintendi ad operar, frase però giustissima) della mente, che si chiuse, che restò serrata, legata, inoperosa, per cagione del suddetto tramortimento del corpo; dalla cui attitudine, in questo stato d'unione, nell'operar suo l'anima necessariamente dipende .

2 →→→Dinanzi, vale testè, poco prima. TORELLI. alla pietà. Il Vocab. della Crusca, ed altri appresso a quello, solamente a pièta, coll'accento sulla penultima sillaba, attribuiscono il significato or di affanno e pena, or di misericordia e compassione; e non a pietà coll'accento sull'ultima. Ma, se non altro, l'esempio presente dimostra chiaramente, che anche pietà può significare, e che qui di fatto significa affanno e

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