Page images
PDF
EPUB

Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta,
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coperta.
E non mi si partia dinanzi al volto,
Anzi 'mpediva tanto 'l mio cammino,
Ch' i' fui per ritornar più volte volto.

31

34

non sia giunto a spiegarne il vero concetto. Premessa una sua dimostrazione sui modi del camminare in piano e in luogo acclive, passa ad osservare che Dante non camminasse già in piano, ma si bene per luogo inclinato, ma così dolcemente inclinato, che al Poeta non era mestieri tener modo diverso da quello che si tiene quando si va per pianura. - Per dissipare ogni ambiguità d'interpretazione si potrebbe leggere col cod. Caet., e con molta ragionevolezza, il verso così: Sì che 'l piè fermo sempre era al più basso. Basso, sostantivamente detto per luogo basso, non fu straniero al nostro Poeta. E. R. - al più basso legge pure il Vat. 3199. ←

31 erta, sustantivo, salita. Non è sustantivo, non sinonimo di salita, ma vero aggiunto del nome sottinteso montagna. BIAGIOLI . ◄◄

32 lonza, pantera: per essa intende l'appetito de' piaceri disonesti, essendo fiera vaga a vedersi ed al sommo libidinosa. VENTURI. Pone questa fiera la prima, per essere la passione della libidine la prima ch'assale l'uomo. Seguendo il Boccaccio, intende l'Edit. rom. che questa lonza fosse un leopardo. Lionza legge il cod. Ang. La lonza è confusa da molti, dice il Torelli, con la pantera, ma è la metà minore di quella: ha la pelle bianca, sparsa di nere macchie in forma di anelli, alcuni vuoti nel mezzo, altri con una o più macchie nel centro: abita nei climi caldi e vive di preda. +

[ocr errors]

33 di pel maculato, di pelo con macchie di vario colore.Pantera (scrive nel suo Tesoro ser Brunetto) è una bestia toccata di picciole tacche bianche e nere, siccome piccioli occhi[a]. Che del maculato, senza il pel, ha il Vat. 3199. ** 36 più volte volto, rivolto indietro. Scontro di parole che formano col loro suono uniforme uno scherzoso bisticcio da non

[blocks in formation]

Temp' era dal principio del mattino,

E'l Sol montava in su con quelle stelle, Ch' eran con lui, quando l'Amor divino, Mosse da prima quelle cose belle;

37

40

cercarsi a bella posta, nè curarsene gran fatto in grave poesia. VENTURI. Il Consiglio è ottimo; malamente però qui a proposito, dove il bisticcio vedesi non cercato a bella posta, ma dalla naturalezza del parlare importato. → Bisticcio simile a quello di Tibullo: ulli non ille puellae [a], ed all'altro di Properzio: amore moram [b]. MAGALOTTI.←

37 al 40 Temp'era ec. Nota il tempo, o sia l'ora del giorno e la stagione dell'anno; e dice che l'ora era la prima del giorno, e la stagione quella stessa in cui fu dall'Onnipossente creato il mondo, e perciò essa pure la stagione prima. In vece però di dire ch'era quella la stagione in cui fu creato il mondo, dice (che è lo stesso) che veniva il Sole alzandosi in compagnia di quelle medesime stelle ch'erano con lui quando da prima fu mosso dall'Amor divino, cioè da Dio, per effetto d'amore verso dell'uomo.

Da varj altri luoghi di questo poema, e segnatamente da ciò che dicesi nel secondo canto del Purgatorio, che, mentre tramontava il Sole, la notte, ch' opposita a lui cerchia, Uscia di Gange fuor con le bilance (v. 4. 5.), col segno della Libra, resta deciso aver Dante per le stelle compagne del alla Libra opposto.

Sole inteso l'Ariete

segno Apportando a noi qui il Sole in Ariete la primavera, verrebbe per questo riguardo il Poeta nostro ad uniformarsi al parere di coloro che dicono creato il mondo in primavera. Ma ponendo egli poi, diversamente da quanto tutti gli altri suppongono, esistere il terrestre Paradiso, in sito a noi antipodo, in cima al monte del Purgatorio, ed essendo colassotto autunno, mentre da noi è primavera, vien egli perciò, per rapporto all'abitazione del primo uomo, a dir creato il mondo in autunno; nella stagione de' frutti, de' quali la sacra Genesi suppone che fosse il terrestre Paradiso doviziosamente provveduto. Temp'era del principio legge il cod. Caet. E. R. - L'Amor divino, Dio medesimo, e precisamente lo Spirito Santo [c]. MONTI. Mosse, intendi la creazione dell'universo, e non la

[ocr errors]

[a] Lib. 4. carm. 6. v.9 [b] Lib.1.el. 13. v. 5. [c] Prop vol 1.p.2. fac. 46.

Sì ch'a bene sperar m'era cagione
Di quella fera la gaietta pelle,
L'ora del tempo, e la dolce stagione;

Ma non sì, che paura non ni desse
La vista, che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venesse
Con la test' alta, e con rabbiosa fame,
Sì che
che l'aer ne temesse;

parea

43

46

mossa data ai pianeti. MAGALOTTI. --Mosse inchiude due idee, quella della creazione e quella del moto comunicato a tutti i corpi dal Creatore. BIAGIOLI. 8

41 42 43 a bene sperar. Essendo l'oggetto di questo sperare la gaietta pelle della lonza (cioè l'uccisione e scorticamento della medesima e il riportamento della di lei pelle in segno di vittoria) dee bene valere qui quanto ragionevolmente o simile; tal che sia il senso: l'ora del tempo e la dolce stagione m'era cagione a ragionevolmente sperare la gaietta pelle di quella fiera. Essendo poi l'ora prima del giorno il rinnovamento del giorno, e la primavera il rinnovamento dell'anno, di qui io direi che prendesse Dante speranza di poter anch'esso rinnovare i suoi costumi. « Stranissima al » fermo e bugiarda è l'interpretazione del Lombardi ..... Tali » stolidezze non potevano entrare nella sacra mente di Dante. » Ben altra è la costruzione de' suoi versi, cioè: la gaietta » pelle di quella fiera, l'ora del tempo e la dolce stagione » m'erano cagione a sperar bene. Il senso n'è poi tutto allegorico, perchè Dante vuol significarci ch'egli era nell'apri» le degli anni suoi, e che, allettato dalla gaia sembianza dei piaceri, accoglieva nell'animo una buona speranza di ascen» dere alla cima della felicità. » PERTICARI. Il Dionisi lesse nel cod. Laurenz. il v. 42. così espresso: Di quella fera alla gaieita pelle: lezione avvalorata da una chiosa di Pietro Dante. E. F. e del cod. Vat. 3199. Il cod. Stuard. legge m'eran cagione. BIAGIOLI. #

כג

[ocr errors]

[ocr errors]

44 al 48 Ma non si ec. Superato che ha il Poeta l'appetito e sensualità carnale, gli si fa incontro il leone, che per la superba ambizione si prende; conciossiachè dopo gli assalti della lussuria, ne vengono con gli anni insieme quelli dell'am

Ed una lupa, che di tutte brame
Sembiava carca nella sua magrezza,
E molte genti fe' già viver grame.
Questa mi

porse tanto di gravezza,

Con la paura ch' uscia di sua vista,

Ch'i' perdei la speranza dell' altezza.

49

52

bizione: e dice che ne veniva con la testa alta; chè il proprio del superbo è andare altiero, disprezzando ed avendo a schivo le umili cose. DANIELLO. — venesse per venisse, antitesi in grazia della rima. — rabbiosa fame, il cruccioso appetito di prelatura che inquieta i superbi. —parea che l'aer ne temesse, frase somigliante a quella che comunemente adopriamo di spaventar l'aria.

49 50 51 Ed una lupa ec. Fassegli incontro poi la lupa, che l'avarizia significa (vizio che regolarmente è l'ultimo ad entrar nell'uomo): perciocchè, come il lupo è di ciascun altro animale più ingordo ed insaziabile, così l'avarizia è vie più d'ogni altro vizio peggiore; chè l'avaro mai non si vede sazio di accumular danari e facoltà. Onde soggiunge, che di tutte brame sembrava carca, e che fe' già viver grame, triste, molte genti; perchè il proprio dell' avaro è di torre oggi a questo, domani a quell'altro, o per forza o per fraude, il suo. Ovvero (che più mi piace) che fe' viver grame molte genti, intendendo essi avari, che per accumular denari e ricchezze, ogni disagio ed ogni incomodo patiscono, male mangiando e peggio bevendo. DANIELLO.-sembiare, lo stesso che sembrare. Ved. il Voc. della Cr. →→ colla sua magrezza legge il cod. Vat. 3199. ←

52 mi porse tanto di gravezza, fecemi tanto grave, tanto inerte, tanto mancante di spirito. di gravezza, cioè di affanno o torpore, agghiacciandosi gli spiriti che sostengono il corpo. E. F.

[ocr errors]

53 sua vista, dal suo aspetto. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi. MAGALOTTI. I molti accenti di questo verso, osserva il Biagioli, dipingono a meraviglia il fisso guardare della lupa. — I suoi occhi partorivano spavento, faceano paura: maniera cercata nella nobiltà de' pensieri alti ed arditi. E. R.

54 perdei legge la Nidobeatina (ed anche il cod. Caet.); per

CANTO I.

E quale è quei, che volentieri acquista,
E giunge 'l tempo, che perder lo face,
Che'n tutt'i suoi pensier piange, e s'attrista ;
Tal mi fece la bestia senza pace,

Che venendomi 'ncontro a poco a poco,

Mi ripingeva là, dove 'l Sol tace.

[ocr errors]

58

de' l'altre edizioni.-la speranza dell'altezza, la speranza di salire in alto. dell'altezza, cioè la ridente cima del monte. Alfieri spiega d'arrivare in cima al monte. BIAGIOLI.

55 quei, sincope di quelli, detto dagli antichi invece di quello. Vedi il Cin., Partic. 214. 5.

56 face per fa, adoperato anticamente anche fuor di rima. Vedi Mastrofini, Teoria e prospetto de' verbi italiani, sotto il verbo fare, n. 3. [a].

58 bestia senza pace, impacifica, priva sempre di pace, qual suol essere di fatto l'avarizia. senza pace, nullo epiteto, nulla espressione può meglio ritrarre lo stato inquieto della lupa, o di cui essa è donna. BIAGIOLI.

59a poco a poco, contro il parere dei più, che vogliono riferito l'a poco a poco al ripingeva, l'Edit. rom. lo riferisce al venendomi incontro, non sembrandogli (e giustamente) che il Poeta fosse con tanta lentezza respinto colà dove il Sol tace, dicendo nel seguente verso ch' egli rovinava in basso loco.←

60 ripingeva, lo stesso che rispingeva. Vedi il Vocab. della Cr.-dove 'l Sol tace: catacresi giudiziosissima. Ferendosi gli occhi dal lume ad ugual modo che dalla voce ferisconsi gli orecchi, applica il tacere, ch'è proprio della voce, al non illuminare del Sole. Per la figura medesima fu dai Latini detto: luna silens quando amplius non apparet [b]; e dirà Dante ancora: Io venni in luogo d'ogni luce muto [c].

כג

« Dante, dice il Perticari, avea nella mente Geremia profeta, che disse: non taccia la pupilla dell'occhio tuo. » Ma quella catacresi del tacer del Sole, come che non altro significhi che la mancanza della luce, pure in quel luogo è più bella ed evidente, perchè sembra che ti svegli nell'in» telletto, accanto l'immagine dell'oscurità, ancor l'imma

כג

כג

[a] Roma De Romanis 1814. 2. vol. in 4.o [b] Rob. Steph. Thesaur. ling. lat. art. Silens. [c] luf. v. 28.

« PreviousContinue »