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CANTO XXIX.

I

Vit. N. 37,40.

La molta gente e le diverse piaghe

Avean le luci mie sì inebriate,

Che dello stare a piangere eran vaghe.

Rimettendosi i Poeti in cammino, e parlando di Geri del Bello, arrivano in sul ponte della decima bolgia, e di là sull' ultimo argine per meglio discernere i dannati in quella contenuti. L'esordio del Canto si collega intimamente colla materia del precedente. Il più sovente, osserva il Tommaseo, coll' un Canto si chiude una pena o un premio nel Poema, e con l' altro altra materia incomincia : ma qui per dare rilievo alla memoria di un suo congiunto, uomo di discordie e per esse morto, Dante lo discerne da altri uomini maggiormente famosi, e così fa vieppiù risaltare la propria equità, inflessibile eziandio verso le persone del suo sangue stesso. >>

1-3. Molta gente ..... diverse piaghe; cf. Inf., XXVIII, 7-21. Il numero immenso de' seminatori di discordie e la diversità delle ferite che vidi in quelli, m' avevano così impregnato gli occhi di lagrime, che essi eran desiderosi di spremere col pianto il dolore, che dentro m' affannava, Molta gente; nel singolare dice numero di persone; nel plurale (cf. Inf., 1, 51), varietà di condizioni o di popoli. La nona bolgia, nota il Tommaseo, è più gremita delle altre. — Inebriate; ogni passione fa l' uomo quasi ubriaco (cf. Inf., XXVII, 99); e così una soverchia dolcezza inebria lo spirito, e l' anima si esalta come in ebbrezza (Par., XXVII, 3, 5: cf. ivi, XXX, 67), potente traslato, che fa ricordare la parola del profeta Isaia (XVI, 9) : inebriabo te lacryma mea; e l' altra d' Ezechiele (XXIII, 33) : ebrietate et dolore repleberis. E bello questo luogo della Vit. N., §. 15:

Lo viso mostra la pietà del core,

Che, tramortendo, ovunque può, s' appoia;

E per l' ebrietà del gran tremore,

Le pietre par che gridin ecc.;

dove ebrietà ha il chiaro senso di eccesso. E bello il considerare come i Santi nell' Empireo ci si presentano come inebriati dagli odori de fiori della gran riviera (Par., XXX, 67). Nella l'it. N., §. 3: «Presi tanta dolcezza (dal saluto di Beatrice), che come inebbriato mi partii dalle genti. » E così, osserva il D' Ancona, per significare ogni forza di affetto e rapimento di sensi, si arriva fino a capire e passare il forte inebriato del Manzoni. È notabile, che, ad onta dell' avviso del suo Maestro (Inf., XX, 27-30), Dante lagrima amaramente, nè Virgilio gli muove qui rimprovero. Come ciò? io credo certo che Virgilio col suo silenzio par qui approvare il dolore dell'alunno, perchè vedeva che quel pianto non proveniva da vana commiserazione a quei scellerati, ma perchè le orribili pene loro e il novero tragrande gli mettevano dinanzi all' anima il terribile quadro della patria dilaniata dalle fazioni, fatta serva e ostello di dolore, senza pace, e gli Italiani rodentisi l'un l'altro tra concittadini, tra fratelli, (e si richiami il Purg., VI, 16-151, messo a raffronto coll Epistola VI, 1, 2, e con quella ai Cardinali Italici); per nulla dire di Firenze inferma, col suo popolo ingrato, maligno, ingiusto, pieno d'ogni reità (cf. Inf., VI, 62; XV, 61; Par., XXXI, 39); e molto dicono queste parole del Convito (IV, 27): « O misera, misera patria mia! quanta pietà mi stringe per te

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Ma Virgilio mi disse: Che pur guate?
Perchè la vista tua pur si soffolge
Laggiù tra l'ombre triste smozzicate?
Tu non hai fatto sì all' altre bolge:
Pensa, se tu annoverar le credi,

Che miglia ventidue la valle volge.

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qual volta leggo, qual volta scrivo cosa che a reggimento civile abbia rispetto! - Vaghe; desiderose : nella Vit. N., §. 37:

gli occhi distrutti.....

Pel desiderio di pianger ch' elli hanno;

e ivi, §. 40: « Li miei occhi parevano due cose che desiderassero pur di piangere: idea che poscia così riveste nel sonetto:

Gli occhi son vinti.....

E fatti son, che paion due desiri
Di lagrimare e di mostrar dolore.

E nel Canzoniere (Parte III. son. I) :

Gli occhi miei di pianger vaghi,
Per novella pietà, che il cor mi strugge.

4-6. Che pur guate (guate per guati; come raccorce, Par., XVI, 7, per raccorci; e rade per radi, Inf., XXXIII, 127, e altri molti; e, giova ripeterlo, non per il bisogno della rima, ma perchè questo era l'uso presso i nostri antichi, anche nella prosa). — Pur.; indica continuità d'azione (cf. Purg., V, 9); che continui a tener l'occhio fisso laggiù? a che cosa guardi con tanta attenzione? ed è ripetuto nel verso seguente. Si soffolge (cf. Par., XXIII, 130); dal suffulcire de' Latini, che vale puntellare; qui, per trasl., in senso di appunta, s' appoggia (come è nel testo della Vit. N., §. 15, allegato testè al v. 2). Come il sole, toccando un oggetto, non passa oltre perchè trova in esso de' suoi raggi l'appoggio (Purg., 111, 18), onde i suoi raggi si rompono (cf. Purg., III, 88; V, 9 e 26, e spesso); così la virtù visiva, trovando l'oggetto, si ferma (cf. v. 19), s' attacca in esso, quasi in esso trovi l'appoggio (cf. Inf., XXVIII, 28; Conv., III, 9, ad med.). · Ombre triste; le anime malvage de' seminatori di discordie. Smozzicate, mutilate, tagliate dalla spada del diavolo (cf. Inf., XXVIII, 19 e 103).

7-9. Non hai fatto sì ecc.; non hai mostrato tanta curiosità, non hai avuto tanto dispiacere nel distaccarti dalle altre bolge (cf. Inf., XVIII, 67 e 136; XIX, 124; XX, 130; XXII, 151; XXIII, 147; XXVI, 13; XXVII, 133). Virgilio par non conoscere la ragione, che qui faceva Dante così atteso a guardar laggiù, ma la sapremo tosto (cf. vv. 13 e segg.) — Se... annoverar le credi; se tu credi di poter vedere e contare ad una ad una le anime di questa, la facenda sarebbe ben lunga, perchè questa bolgia volge, gira, ha un circuito di ventidue miglia. La bolgia seguente (Inf., XXX, 87) ha invece soltanto undici miglia di circonferenza. Questo dato puossi prender per base a trovare la circonferenza di tutte e dieci le bolge; ma non già, come potrebbe a prima giunta supporsi, raddoppiando il dato di bolgia in bolgia (il che porterebbe alla bella conclusione che la prima bolgia avrebbe un circuito di miglia 5632, spazio che supera l'estenzione d'un circolo massimo della terra; e se tanta l'estenzione dell' ottavo cerchio, quanta doveva essere quella del primo?); sibbene intendendo, come avvertì l'Antonelli, che il Poeta dandoci il valore di due termini contigui d' una serie, ha voluto somministrarci il primo termine e la differenza della serie medesima; la quale constando di dieci termini, che sono le dieci bolge, viene a determinarsi anche nel caso

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E già la Luna è sotto i nostri piedi :
Lo tempo è poco omai che n'è concesso,
E altro è da veder, che tu non vedi.

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di rapporto aritmetico; e risulta progressivamente così: 11, 22, 33, 44, 55 e via; di guisa che il circuito della prima bolgia, sarà di miglia 110. E qui parmi che il Bennassuti faccia una delle sue volate; egli, partendo da tal dato, estende il suo calcolo, e procede oltre, e applica ai tre gironi del cerchio settimo la stessa norma, di guisa che il terzo sarebbe di miglia 121, e il primo di 143; ed egual norma segue pei primi sei cerchi e per l' Atrio; onde il sesto Cerchio avrebbe una circonferenza di miglia 154, e il primo di miglia 209, e l' Atrio, per conseguente di miglia 220. Fin qui lasciamo andare; ma dove la induzione del Bennassuti è affatto capricciosa e arbitraria, è nel dare alle bolge una differente larghezza; perchè se il Poeta ci ha dato il presumibile modo di trovare la progressione della circonferenza delle bolge, non ci ha dato quello di stabilire una differente larghezza. Dante dell' ultima bolgia (Inf., XXX, 87) ha detto e men (il Bennassuti legge più) d'un mezzo (miglio) di traverso non ci ha, e non disse altro; e da ciò solo è lecito, come fa il Bennassuti, argomentare differenti dimensioni in larghezza tra bolgia e bolgia? in guisa che la decima avendo circa un mezzo miglio di larghezza, la nona n'avesse uno, e via di seguito, onde la prima avrebbe di larghezza miglia 5? e qui sta appunto la volata, che non puossi ammettere per verun conto, perchè nol consente la parola di Dante, e i più accreditati tra i chiosatori tengono per fermo che la traversa o larghezza delle bolge sia eguale per tutte; onde l' Antonelli bene avvisò che la distanza da bolgia a bolgia sia costante, e che essa, compreso l' argine, venga a essere di miglia 1 34 (cf. Inf., XVIII, 1-3, e XXIV, 37-40).

10-12. L'Alfieri notò l'ultimo. La Luna ecc.; come sempre toglie il Poeta l'orario del viaggio infernale dalla Luna o dalle stelle (cf. Inf., VII, 98; XI, 113; XX, 124 e segg., XXXIV, 68). Ne' giorni del plenilunio, la Luna nasce la sera; alla mezzanotte è al nostro zenit: di conseguente al mezzo giorno è al nadir, cioè sotto i nostri piedi; quasi velit dicere, scrive il Postill. Cass., quod sol est in meridie. Sappiamo che la Luna era tonda la notte che Dante smarrissi nella selva selvaggia (cf. Inf., XX, 127); calcolando il ritardo che la Luna fa di giorno in giorno a nascere, abbiamo adesso di pochi minuti varcata l' ora pomeridiana. Quindi è chiaro, che essendo le ore sette antimeridiane quando i Poeti sulla bolgia de' barattieri stavano per mettersi in via lunghesso l'argine sinistro insieme co' dieci diavoli (cf. Inf., XXI, 112), i due viaggiatori insino a qua spesero poco più di sei ore, cioè un' ora e un quarto per bolgia. Lo tempo è poco ecc.; il tempo concesso a percorrere tutto quanto l' Inferno era di ventiquattr' ore; e pensando che il viaggio fu cominciato al cader della notte precedente (Inf., 11, 1), ne deriva che non restavano ai Poeti più di cinq' ore per compiere la grande impresa (cf. Inf., XXXIV, 68-69, dove è l'orario per intiero). Altro; altre cose ancora. Nel Purg., XXIII, 4-6 :

Lo più che padre mi dicea: Figliuole,
Vienne oramai, che il tempo che c'è imposto,
Più utilmente compartir si vuole.

Vedi; la Crusca ed altri, credi; l' Alfieri, come asservò il Biagioli, trascrivendo questo verso e pur usando il testo della Crusca, certo con intenzione di correggere, scrisse vedi : e giustamente il Lombardi : « Vedi, in luogo di credi, hanno pur trovato in più di trenta MSS. gli Accademici della Crusca, e non capisco perchè non l' abbiano ammesso nel testo, e levato credi; il quale ritenendosi, sarebbe l' unico caso in cui facesse Dante tre rime con

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due parole di ugual senso; esempio bensì trovandosi, che facciale con una sola (Par., XII, 71 e segg.; XIV, 104 e segg.), ma con due non mai. »

13-15. Se tu avessi ... atteso, se tu avessi badato, se avessi posto mente. La frase attendere o attendersi (cf. v. 24; Inf., XII, 109; XVI, 13; XXVI, 46; XXX, 60-61; Purg., XXVI, 26; Par., 1, 77; XIII, 29; XV, 31), è sempre nel Poema nel significato di raccoglimento a cosa materiale, esteriore; qui lacagion del guardare di Dante era di vedere se tra quei dannati vi fosse, com' ei credeva (7. 20), un suo consanguineo, ch' ei sapeva essere stato seminatore di discordie, e morto dai nemici per tale sua colpa (v. 31); perciò cagion qui non ha senso intellettuale (chè in tal caso la frase suespressa assumerebbe significato di considerare, ponderare, riflettere), ma materiale del tutto.-Dimesso (dal lat. dimittere; così dimesso, smesso, lasciato, Par., V, 59), concesso, permesso di soffermarmi alquanto di più.

16-21. Virgilio aveva fatto fretta a Dante, perchè si rimettesse in viaggio; Dante gli rispose: se tu avessi ecc.; ma intanto Virgilio s'era mosso; parte sen gía (costruzione : parte sen gía lo Duca, ed io gli andava retro facendo la risposta), in questo mentre, nell' atto che mi disse quelle parole, Virgilio (cominciava a partire, Bargigi) si mosse (non già, come intende il Casini: Virgilio se n' andava in atto di aprir la bocca a rispondermi, io lo seguiva aggiungendo), e io gli andava dietro facendo la risposta; parole quest' ultime che accennano ai versi 13-15, dal contesto de' quali, nella scusa e dolce lamento di Dante, apparisce chiaro che Virgilio s'era messo in cammino; il soggiungendo poi si riferisce alla prosecuzione della risposta di Dante, compresa nei versi 18-21; così mi par chiaro. Parte per mentre, tanto, cf. Purg., XXI, 18 (e sul senso che vi dà il Biagioli, e sulla stranissima lezione che propugnò lo Scarabelli parlarono dottamente il Negroni e il Grosso). Facendo la risposta; la stessa frase, Inf., XII, 65; Par., XXII, 35. — Cava, bolgia, fossa, valle. Si a posta, appostati, fissamente rivolti, immobili (cf. Purg., VI, 58). Credo; non l'aveva veduto, ma credeva che ci fosse, onde stava osservando se il vedesse (cf. v. 14). Del mio sangue, un mio consanguineo, un mio parente. La colpa dell' aver seminato discordia. Laggiù, in quella bolgia. Cotanto costa, è punita con tanta pena.

22-24. Non si franga ecc.; anzi tutto si noti l' ammaestramento di badare allo scopo del viaggio, e a ciò solo che meglio poteva renderlo utile, senza distrarsi in cose non necessarie (cf. Purg., V, 10-18). Frangere; è diversamente inteso; non si rompa dall' altre cose che hai a pensare (Buti); quasi dica, in sì bassa materia, com'è a trattare di Geri del Bello, non è da spendere tempo, perocchè di più alte e di più utili ci avea più copiosamente (Ottimo); non si stanchi il tuo pensier sour ello, in pensare s ei sia laggiù (Bargigi). Il Cesari : « Son tentato di credere, che questo non si franga il tuo pensier, vaglia non si ammollisca, non si intenerisca, non infemminisca l' animo tuo; è frase latina,

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Lo tuo pensier da qui innanzi sovr' ello :
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;

Ch'io vidi lui a piè del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito,
Ed udil nominar Geri del Bello.

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chè frangere s' adopera a mostrar uomo vinto e abbattuto da qualunque passione; e cita Cic. (Off., 1, 20), frangi metu, frangi cupiditate. E il Tommaseo cita II Reg., XI, 45: Non te frangat ista res; e queste parole della Somma: «Frangi dicitur aliquis, quando a suo sensu divellitur. » Altri preferisce il senso di riflettere, rifrangere, traslato della luce. Per me il preciso senso (che, in sostanza, si riduce a quest' ultimo, come a quello del Cesari e del Tommaseo) lo dà lo stesso Poeta in altro luogo (Purg., V, 16-18); e la frase, che segue, attendi ad altro, non fa che raffermarlo. Da qui innanzi, d'ora in poi. Sovr ello (con ello, Purg., XXIX, 117; da ello, Inf., XXXII, 124; con elle, con elli, Inf., III, 27; Par., XII, 133; e queste e consimili forme di spesso non solo nella Commedia, ma anco frequenti negli antichi prosatori), su di lui, intorno a lui (cf. v. 29, e Inf., XXII, 125; nel commento). Là si rimanga (cf. Inf., XIX, 97).

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25-30. Queste parole, osserva il Cesari, aggiugne Virgilio, per ragione che Dante debba levar l'animo da lui come da persona superba e oltraggiosa ; e soggiugne Ma a questi suoi atti fastidiosi tu non hai posto mente; sì eri occupato in Bertran del Bornio. Appiè del ponticello; quando, in passando, fu appiè del ponte della bolgia, sul quale noi eravamo. - Mostrarti, additarti a' suoi compagni di pena, come si mostra per disprezzo un vile. Minacciar forte col dito; fortemente scotendolo, come chi con ira e spirito di vendetta dicesse me la pagherai! e ciò per quello che il Poeta tosto dirà (vv. 31-35). Anco, a parer mio, si potrebbe argomentare, che il cruccio di Geri fosse bensì per la ragione or ora accennata, ma in questo istante ricresciuto, al vedere che Dante neppure il guardava, tutto attento com' era sovra Bertrando. Il Buti : « Menando il dito si minaccia; tenendol fermo si dimostra (cf. Inf., V, 68; X, 129; Purg., VIII, 96). Udil nominar ecc.; nominar da' suoi compagni, intendono alcuni; e perchè non intendere che Geri nominasse sè stesso, all' atto minaccioso accompagnando il proprio nome, come a dare spiegazione dello sdegno per non essere stato peranco vendicato da quel suo consanguineo?--Geri del Bello; da Allighiero I (cf. Par., XV, 91) vennero Bello e Bellincione; da Bello nacque Geri; da Bellincione, Allighiero II, padre del Poeta. L'Anon. Fior.: «Dicesi di lui (di Geri) ch' egli si dilettò sempre di mettere scandalo fra uomo et uomo. Il Del Lungo scrive: « La storia di Geri del Bello è variamente narrata dagli antichi commentatori; brutta ad ogni modo. Uccisore a tradimento, e dopo avere con una menzogna fatto posar l'arme al suo avversario, egli stesso è poi ucciso in Fucecchio da un parente di questo che famiglia fossero non è ben chiaro (l'Anon. Fior. dice che tal famiglia si chiamavono i Gemini; il Lana e il Buti, Gerini o Geremei; Benvenuto e l' Ottimo, i Sacchetti -). L' Ottimo, l' Anon. Fior. e il Buti affermano che nessuna vendetta fecero gli Allighieri della morte di Geri; e certo, per confessione del Poeta, non fu fatta fino all' Aprile del 1300. Bensì ne parla Benvenuto, dicendola fatta trent'anni dopo dai nipoti di Geri; lo segue il Landino, dicendola fatta da un figliuolo di messer Cione (e Cione era fratello di Geri); ma com'è che nulla sapean di ciò i tre chiosatori soprallegati? L'Ottimo: «Fu Geri del Bello scommettitore, e falsificatore di moneta; ma perchè la cagione di sua morte fu per seminare zenzania, lo mette nella nona bolgia; e perchè fu falsario, si tratta di lui nel presente capitolo, acciocchè la giustizia di Dio, per

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