Page images
PDF
EPUB

47. Tacque; e rispose il Re: Qual si disgiunta Terra è dall' Asia, o dal cammin del Sole, Vergine gloriosa, ove non giunta

Sia la tua fama, e l'onor tuo non vole? Or che s'è la tua spada a me congiunta, D'ogni timor m'affidi e mi console: Non, s'esercito grande unito insieme Fosse in mio scampo, avrei più certa speme. 48. Già già mi par ch'a giunger qui Goffredo Oltra il dover indugi: or tu dimandi Ch'impieghi io te: sol di te degne credo L'imprese malagevoli e le grandi. Sovra i nostri guerrieri a te concedo Lo scettro, e legge sia quel che comandi. Cosi parlava. Ella rendea cortese Grazie per lodi; indi a parlar riprese: 49. Nova cosa parer dovrà per certo

Che preceda a' servigi il guiderdone;

Ma tua bontà m'affida: io vuo' che 'n merto Del futuro servir que' rei mi done.

In don li chieggio; e pur, se'l fallo è incerto, Li danna inclementissima ragione. Ma taccio questo, e taccio i segni espressi, Ond' argomento l'innocenza in essi ; 50. E dirò sol, ch'è qui comun sentenza Che i Cristiani togliessero l'immago: Ma discord' io da voi; nè però senza Alta ragion del mio parer m' appago. Fu delle nostre leggi irriverenza Quell' opra far, che persuase il Mago; Chè non convien ne nostri tempj a nui Gl'idoli avere, e men gl'idoli altrui. 51. Dunque suso a Macon recar mi giova Il miracol dell'opra; ed ei la fece Per dimostrar che i tempi suoi con nova Religion contaminar non lece.

Faccia Ismeno incantando ogni sua prova, Egli a cui le malíe son d'arme in vece: Trattiamo il ferro pur noi cavalieri; Quest'arte è nostra, e 'n questa sol si speri. 52. Tacque, ciò detto: e 'l Re, bench' a pietade L'irato cor difficilmente pieghi,

Pur compiacer la volle; el persuade
Ragione, e 'l move autorità di preghi.
Abbian vita, rispose, e libertade;
E nulla a tanto intercessor si neghi.
Siasi questa o giustizia, ovver perdono,
Innocenti gli assolvo, e rei li dono.
53. Cosi furon disciolti. Avventuroso

Ben veramente fu d'Olindo il fato;
Ch'atto potè mostrar, che 'n generoso
Petto alfine ha d'amore amor destato.
Va dal rogo alle nozze, ed è già sposo
Fatto di reo, non pur d'amante amato:
Volse con lei morire; ella non schiva,
Poichè seco non muor, che seco viva.
54. Ma il sospettoso Re stimò periglio
Tanta virtù congiunta aver vicina;
Onde, com' egli volse, ambo in esiglio
Oltre ai termini andâr di Palestina.
Ei, pur seguendo il suo crudel consiglio,
Bandisce altri Fedeli, altri confina.
Oh come lascian mesti i pargoletti
Figli, e gli antichi padri, e i dolci letti!

55. Dura division! Scaccia sol quelli
Di forte corpo e di feroce ingegno;
Ma 'l mansueto sesso e gli anni imbelli
Seco ritien, siccome ostaggi in pegno.
Molti n' andaro errando, altri rubelli
Fêrsi, e più che 'l timor potè lo sdegno.
Questi unirsi co' Franchi, e gl' incontraro
Appunto il di che in Emaús entraro.
56. Emaús è città, cui breve strada
Dalla regal Gerusalem disgiunge;
Ed uom, che lento a suo diporto vada,
Se parte mattutino, a nona giunge.
Oh quanto intender questo ai Franchi aggrada!
Oh quanto più 'I desio gli affretta e punge!
Ma, perch'oltra il meriggio il Sol già scende,
Qui fa spiegare il Capitan le tende.

57. L'avean già tese; e poco era remota
L'alma luce del Sol dall' oceáno;
Quando duo gran baroni in veste ignota
Venir son visti, e 'n portamento estrano.
Ogni atto lor pacifico dinota

Che vengon come amici al Capitano.
Del gran Re dell'Egitto eran messaggi,
E molti intorno avean scudieri e paggi.
58. Alete è l' un, che da principio indegno
Tra le brutture della plebe è sorto;
Ma l'innalzaro ai primi onor del regno
Parlar facondo e lusinghiero e scorto,
Pieghevoli costumi, e vario ingegno,
Al finger pronto, all'ingannare accorto:
Gran fabbro di calunnie, adorne in modi
Novi, che sono accuse, e pajon lodi.

59. L'altro è il circasso Argante, uom che straniero
Sen venue alla regal corte d'Egitto ;
Ma de' satrapi fatto è dell'impero,

E in sommi gradi alla milizia ascritto:
Impaziente, inesorabil, fero,
Nell' arme infaticabile ed invitto;
D'ogni Dio sprezzator, e che ripone
Nella spada sua legge e sua ragione.
60. Chieser questi udienza, ed al cospetto
Del famoso Goffredo ammessi entraro ;

E in umil seggio in un vestire schietto

Fra' suoi duci sedendo il ritrovaro:
Ma verace valor, benchè negletto,
È di sè stesso a sè fregio assai chiaro.
Picciol segno
d'onor gli fece Argante,

In guisa pur d'uom grande e non curante.
61. Ma la destra si pose Alete al seno,
E chinò il capo, e piegò a terra i lumi;
E l'onorò con ogni modo appieno,
Che di sua gente portino i costumi.
Cominciò poscia; e di sua bocca usciéno
Più che mel dolci d'eloquenza i fiumi;
E, perchè i Franchi han già il sermone appreso
Della Soría, fu ciò ch' ei disse, inteso.
62. O degno sol, cui d'ubbidire or degni
Questa adunanza di famosi eroi,

Che per l'addietro ancor le palme e i regni
Da te conobbe e dai consigli tuoi;

Il nome tuo, che non riman tra i segni
D'Alcide, omai risuona anco fra noi;
E la fama d'Egitto in ogni parte
Del tuo valor chiare novelle ha sparte.

63. Nè v'è fra tanti alcun che non l'ascolte,
Com' egli suol le meraviglie estreme:
Ma dal mio Re con istupore accolte
Sono non sol, ma con diletto insieme;
E s'appaga in narrarle anco più volte,
Amando in te ciò ch'altri invidia e teme:
Ama il valore, e volontario elegge
Teco unirsi d'amor, se non di legge.
64. Da sì bella cagion dunque sospinto,
L'amicizia e la pace a te richiede;

E'l mezzo, onde l' un resti all' altro avvinto,
Sia la virtù, s'esser non può la fede.
Ma, perchè inteso avea che t'eri accinto
Per iscacciar l'amico suo di sede,
Volse, pria ch'altro male indi seguisse,
Ch'a te la mente sua per noi s'aprisse.
65. E la sua mente è tal, che s'appagarti
Vorrai di quanto hai fatto in guerra tuo,
Ne Giudea molestar, nè l'altre parti
Che ricopre il favor del regno suo;
Ei promette all'incontro assicurarti
Il non ben fermo stato e se voi duo
Sarete uniti, or quando i Turchi e i Persi
Potranno unqua sperar di riaversi?

66. Signor, gran cose in picciol tempo hai fatte, Che lunga età porre in obblío non puote: Eserciti, città, vinti, disfatte,

Superati disagi e strade ignote;

Si ch'al grido o smarrite o stupefatte
Son le provincie intorno e le remote:
E, sebbene acquistar puoi novi imperi,
Acquistar nova gloria indarno speri.

67. Giunta è tua gloria al sommo, e per l' innanzi
Fuggir le dubbie guerre a te conviene;
Ch'ove tu vinca, sol di stato avanzi,
Nè tua gloria maggior quinci diviene;
Ma l'imperio acquistato e preso dianzi,
E l'onor perdi, se 'l contrario avviene.
Ben gioco è di fortuna audace e stolto
Por contra 'l poco e 'ncerto, il certo e 'l molto.
68. Ma il consiglio di tal, cui forse pesa

Ch' altri gli acquisti a lungo andar conserve;
E l'aver sempre vinto in ogni impresa;
E quella voglia natural che ferve,

E sempre è più ne' cor più grandi accesa,
D'aver le genti tributarie e serve;
Faran per avventura a te la pace
Fuggir, più che la guerra altri non face.
69. T'esorteranno a seguitar la strada
Che t'è dal fato largamente aperta;
A non depor questa famosa spada,
Al cui valore ogni vittoria è certa,
Finchè la legge di Macon non cada,
Finchè l'Asia per te non sia deserta:
Dolci cose ad udire, e dolci inganni,
Ond'escon poi sovente estremi danni.
70. Ma s'animosità gli occhi non benda,
Nè il lume oscura in te della ragione,
Scorgerai ch'ove tu la guerra prenda,
Hai di temer, non di sperar cagione;
Chè fortuna quaggiù varia a vicenda,
Mandandoci venture or triste or buone;
Ed a' voli troppo alti e repentini
Sogliono i precipizj esser vicini.

71. Dimmi: s'a' danni tuoi l'Egitto move,
D'oro e d'arme potente e di consiglio;
E s'avvien che la guerra anco rinnove
Il Perso e 'l Turco, e di Cassano il figlio;
Quai forze opporre a si gran furia, o dove
Ritrovar potrai scampo al tuo periglio?
T'affida forse il Re malvagio greco,
Il qual dai sacri patti unito è teco?
72. La fede greca a chi non è palese?
Tu da un sol tradimento ogn' altro impara,
Anzi da mille; perchè mille ha tese
Insidie a voi la gente infida, avara.
Dunque chi dianzi il passo a voi contese,
Per voi la vita esporre or si prepara?
Chi le vie, che comuni a tutti sono,
Negò, del proprio sangue or farà dono?
73. Ma forse hai tu riposta ogni tua speme
In queste squadre, ond'ora cinto siedi.
Quei che sparsi vincesti, uniti insieme
Di vincer anco agevolmente credi;
Sebben son le tue schiere or molto sceme,
Tra le guerre e i disagi, e tu tel vedi;
Sebben novo nemico a te s' accresce,
E co' Persi e co' Turchi Egizj mesce.
74. Or, quando pur estimi esser fatale,
Che non ti possa il ferro vincer mai,
Siati concesso; e siati appunto tale
Il decreto del Ciel, qual tu tel fai:
Vinceratti la fame: a questo male
Che rifugio, per Dio, che schermo avrai?
Vibra contra costei la lancia, e stringi
La spada, e la vittoria anco ti fingi.
75. Ogni campo d'intorno arso e distrutto
Ha la provida man degli abitanti ;

E in chiuse mura, e in alte torri il frutto
Riposto al tuo venir più giorni innanti.
Tu, ch' ardito sin qui ti sei condutto,
Onde speri nutrir cavalli e fanti?
Dirai: L'armata in mar cura ne prende.
Dai venti dunque il viver tuo dipende?
76. Comanda forse tua fortuna ai venti,

E gli avvince a sua voglia e li dislega?
Il mar, ch' ai preghi è sordo ed ai lamenti,
Te solo udendo, al tuo voler si piega?
O non potranno pur le nostre genti,
E le perse e le turche, unite in lega,
Così potente armata in un raccorre,
Ch'a questi legni tuoi si possa opporre?
77. Doppia vittoria a te, signor, bisogna,
S'hai dell'impresa a riportar l'onore.
Una perdita sola alta vergogna
Può cagionarti, e danno anco maggiore:
Ch'ove la nostra armata in rotta pogna
La tua, qui poi di fame il campo more;
E, se tu sei perdente, indarno poi
Saran vittoriosi i legni tuoi.

78. Ora, se in tale stato anco rifiuti
Col gran Re dell'Egitto e pace e tregua,
(Diasi licenza al ver) l'altre virtuti
Questo consiglio tuo non bene adegua.
Ma voglia il Ciel che 'l tuo pensier si muti,
S'a guerra è vôlto, e che 'l contrario segua,
Si che l'Asia respiri omai dai lutti,
E goda tu della vittoria i frutti.

79. Ne voi, che del periglio e degli affanni
E della gloria a lui sete consorti,
Il favor di fortuna or tanto inganni,
Che nove guerre a provocar v'esorti;
Ma, qual nocchier che dai marini inganni
Ridutti ha i legni ai desiati porti,
Raccor dovreste omai le sparse vele,
Ne fidarvi di novo al mar crudele.

80. Qui tacque Alete: e 'l suo parlar seguiro
Con basso mormorar que' forti eroi;
E ben negli atti disdegnosi apriro
Quanto ciascun quella proposta annoi.
Il Capitan rivolse gli occhi in giro

Tre volte e quattro, e mirò in fronte i suoi;
E poi nel volto di colui gli affisse,
Ch'attendea la risposta, e così disse:
81. Messaggier, dolcemente a noi sponesti
Or minaccioso ed or cortese invito.

Se 'l tuo Re m'ama, e loda i nostri gesti,
È sua mercede, e m'è l'amor gradito.
A quella parte poi, dove protesti
La guerra a noi del Paganesmo unito,
Risponderò, come da me si suole,
Liberi sensi in semplici parole.

82. Sappi che tanto abbiam finor sofferto
In mare e in terra, all' aria chiara e scura,
Solo acciò che ne fosse il calle aperto
A quelle sacre e venerabil mura,
Per acquistarci appo Dio grazia e merto,
Togliendo lor di servitù si dura;

Nè mai grave ne fia, per fin sì degno, Esporre onor mondano e vita e regno: 83. Chè non ambiziosi avari affetti

Ne spronaro all' impresa, e ne fur guida;
(Sgombri il Padre del ciel dai nostri petti
Peste sì rea, s'in alcun pur s'annida;
Nè soffra che l'asperga e che l'infetti
Di venen dolce, che piacendo ancida)
Ma la sua man, che i duri cor penétra
Soavemente, e gli ammollisce e spetra.

84. Questa ha noi mossi, e questa ha noi condutti,
Tratti d'ogni periglio e d'ogni impaccio:
Questa fa piani i monti, e i fiumi asciutti;
L'ardor toglie alla state, al verno il ghiaccio:
Placa del mare i tempestosi flutti;

Stringe e rallenta questa a' venti il laccio: Quindi son l' alte mura aperte ed arse, Quindi l'armate schiere uccise e sparse: 85. Quindi l'ardir, quindi la speme nasce, Non dalle frali nostre forze e stanche; Non dall' armata, e non da quante pasce Genti la Grecia, e non dall' armi franche. Purch'ella mai non ci abbandoni e lasce, Poco debbiam curar ch' altri ci manche. Chi sa come difende e come fere, Soccorso a' suoi perigli altro non chere. 86. Ma quando di sua aíta ella ne privi Per gli error nostri, o per giudizj occulti, Chi fia di noi ch'esser sepolto schivi Ove i membri di Dio fur già sepulti? Noi morirem, nè invidia avremo ai vivi; Noi morirem, ma non morremo inulti: Nè l'Asia riderà di nostra sorte; Nè pianta fia da noi la nostra morte.

87. Non creder già che noi fuggiam la pace,
Come guerra mortal si fugge e pave;
Chè l'amicizia del tuo Re ne piace,
Nè d'unirci con lui ne sarà grave:
Ma s' al suo imperio la Giudea soggiace,
Tu 'I sai: perchè tal cura ei dunque n'áve?
De' regni altrui l'acquisto ei non ci vieti,
E regga in pace i suoi tranquilli e lieti.
88. Così rispose; e di pungente rabbia
La risposta ad Argante il cor trafisse :
Nè 'l celò già; ma con enfiata labbia
Si trasse avanti al Capitano, e disse:
Chi la pace non vuol, la guerra s'abbia;
Chè penuria giammai non fu di risse:
E ben la pace ricusar tu mostri,
Se non t'acqueti ai primi detti nostri.
89. Indi il suo manto per lo lembo prese,
Curvollo, fenne un seno; e, 'l seno sporto,
Così pur anco a ragionar riprese,
Vie più che prima dispettoso e tôrto:
O sprezzator delle più dubbie imprese,
E guerra e pace in questo sen t'apporto:
Tua sia l'elezione: or ti consiglia
Senz'altro indugio, e qual più vuoi ti piglia.
90. L'atto fero e 'l parlar tutti commosse
A chiamar guerra in un concorde grido,
Non attendendo che risposto fosse
Dal magnanimo lor duce Goffrido.
Spiegò quel crudo il seno, e 'l manto scosse,
Ed, A guerra mortal, disse, vi sfido;
E'l disse in atto sì feroce ed empio,
Che parve aprir di Giano il chiuso tempio.
91. Parve ch' aprendo il seno indi traesse
Il furor pazzo e la discordia fera,
E che negli occhi orribili gli ardesse
La gran face d'Aletto e di Megera.
Quel grande già, che 'ncontra il cielo eresse
L'alta mole d' error, forse tal era;
E in cotal atto il rimirò Babelle
Alzar la fronte e minacciar le stelle.
92. Soggiunse allor Goffredo: Or riportate
Al vostro Re, che venga e che s'affretti;
Chè la guerra accettiam che minacciate :
E s'ei non vien, fra 'l Nilo suo n'aspetti.
Accommiatò lor poscia in dolci e grate
Maniere, e gli onorò di doni eletti.
Ricchissimo ad Alete un elmo diede,
Ch'a Nicéa conquistò fra l'altre prede:
93. Ebbe Argante una spada; e 'l fabro egregio
L'else e 'I pomo le fe gemmato e d'oro
Con magistero tal, che perde il pregio
Della ricca materia appo il lavoro.
Poi che la tempra e la ricchezza e 'l fregio
Sottilmente da lui mirati fôro,

Disse Argante al Buglion: Vedrai ben tosto
Come da me il tuo dono in uso è posto.
94. Indi, tolto congedo, è da lui ditto.
Al suo compagno: Or ce n'andremo omai,
Io vêr Gerusalem, tu verso Egitto;
Tu col Sol novo, io co' notturni rai:
Ch'uopo o di mia presenza o di mio scritto
Esser non può colà, dove tu vai.
Reca tu la risposta; io dilungarmi
Quinci non vuó', dove si trattan l'armi.

95. Così di messaggier fatto è nemico, Sia fretta intempestiva, o sia matura: La ragion delle genti e l'uso antico S'offenda, o nò, nè 'l pensa egli, nè 'l cura. Senza risposta aver, va per l'amico Silenzio delle stelle all' alte mura, D'indugio impaziente; ed a chi resta Già non men la dimora anco è molesta. 96. Era la notte, allor ch'alto riposo

Han l'onde e i venti, e parea muto il mondo; Gli animai lassi, e quei che 'l mare ondoso, O de' liquidi laghi alberga il fondo,

E chi si giace in tana o in mandra ascoso, E i pinti augelli, nell' obblío giocondo, Sotto il silenzio de' secreti orrori, Sopian gli affanni, e raddolciano i cori. 97. Ma nè 'l campo fedel, nè 'l franco Duca Si discioglie nel sonno, oppur s'accheta; Tanta in lor cupidigia è che riluca Omai nel ciel l'alba aspettata e lieta, Perchè il cammin lor mostri, e li conduca Alla città ch' al gran passaggio è meta: Mirano ad or ad or se raggio alcuno Spunti, o rischiari della notte il bruno.

CANTO III.

ARGOMENTO

Preme il sacro terren di Cristo il Franco,
Franco il cor, nudo il piede, umile in viso:
Assal; Clorinda opponsi; e'l lato manco
Sentesi per Tancredi Erminia inciso.
Quinci Argante a Dudon trafigge il fianco;
Ond' ei riman da sè, da' suoi diviso:
Tomba ha poi dal Buglion, ch'alta foresta
Svelle, e gli ordigni militari appresta.

Già l'aura messaggiera erasi desta

A nunziar che se ne vien l'Aurora: Ella intanto s' adorna, e l'aurea testa Di rose côlte in Paradiso infiora; Quando il campo, ch'all'arme omai s'appresta, In voce mormorava alta e sonora, E prevenía le trombe; e queste poi Diêr più lieti e canori i segni suoi. 2. Il saggio Capitan con dolce morso I desiderj lor guida e seconda; Chè più facil saría svolger il corso Presso Cariddi alla volubil onda,

O tardar Borea allor che scote il dorso
Dell'Appennino, e i legni in mare affonda.
Gli ordina, gl'incammina, e'n suon li regge
Rapido sì, ma rapido con legge.

3. Ali ha ciascuno al core, ed ali al piede;
Nè del suo ratto andar però s'accorge:
Ma quando il Sol gli aridi campi fiede
Con raggi assai ferventi, e in alto sorge,
Ecco apparir Gerusalem si vede,
Ecco additar Gerusalem si scorge;
Ecco da mille voci unitamente
Gerusalemme salutar si sente.

4. Così di naviganti audace stuolo.

Che mova a ricercar estranio lido,
E in mar dubbioso e sotto ignoto polo
Provi l'onde fallaci e 'l vento infido,
S'alfin discopre il desiato suolo,
Lo saluta da lunge in lieto grido;

E l'uno all'altro il mostra, e intanto obbliía La noja e 'l mal della passata via. 5. Al gran piacer che quella prima vista Dolcemente spirò nell' altrui petto, Alta contrizion successe, mista Di timoroso e riverente affetto: Osano appena d'innalzar la vista Vêr la città, di Cristo albergo eletto, Dove morì, dove sepolto fue, Dove poi rivestì le membra sue.

6. Sommessi accenti e tacite parole, Rotti singulti e flebili sospiri

7.

Della gente che in un s'allegra e duole, Fan che per l'aria un mormorío s'aggiri, Qual nelle folte selve udir si suole, S'avvien che tra le frondi il vento spiri; O quale infra gli scogli o presso ai lidi Sibila il mar percosso in rauchi stridi. Nudo ciascuno il piè calca il sentiero; Chè l'esempio de' duci ogn' altro move. Serico fregio o d'ôr, piuma, o cimiero Superbo, dal suo capo ognun rimove; Ed insieme del cor l'abito altiero Depone, e calde e pie lagrime piove. Pur, quasi al pianto abbia la vía rinchiusa, Così parlando ognun sè stesso accusa: 8. Dunque ove tu, Signor, di mille rivi Sanguinosi il terren lasciasti asperso, D'amaro pianto almen duo fonti vivi In si acerba memoria oggi io non verso? Agghiacciato mio cor, chè non derivi Per gli occhi, e stili in lagrime converso? Duro mio cor, chè non ti spetri e frangi? Pianger ben merti ognor, s'ora non piangi. 9. Dalla cittade intanto un ch'alla guarda Sta d'alta torre, e scopre i monti e i campi, Colà giuso la polve alzarsi guarda, Si che par che gran nube in aria stampi; Par che baleni quella nube ed arda, Come di fiamme gravida e di lampi: Poi lo splendor de' lucidi metalli Scerne, e distingue gli uomini e i cavalli. 10. Allor gridava: Oh qual per l'aria stesa Polvere i'veggio! oh come par che splenda! Su suso, o cittadini; alla difesa S'armi ciascun veloce, e i muri ascenda: Già presente è il nemico. E poi ripresa La voce: Ognun s'affretti, e l'arme prenda: Ecco il nemico; è qui: mira la polve Che sotto orrida nebbia il cielo involve. 11. I semplici fanciulli, e i vecchi inermi, E'l vulgo delle donne sbigottite, Che non sanno ferir, nè fare schermi, Traean supplici e mesti alle meschite: Gli altri, di membra e d'animo più fermi, Già frettolosi l'arme avean rapite: Accorre altri alle porte, altri alle mura: Il Re va intorno, e 'l tutto vede e cura.

12. Gli ordini diede, e poscia ei si ritrasse
Ove sorge una torre infra due porte,
Si ch'è presso al bisogno; e son più basse
Quindi le piagge, e le montagne scórte.
Volle che quivi seco Erminia andasse;
Erminia bella, ch'ei raccolse in corte
Poi ch'a lei fu dalle cristiane squadre
Presa Antiochia, e morto il Re suo padre.
13. Clorinda intanto incontra ai Franchi è gita;
Molti van seco,
ed ella a tutti è innante:
Ma in altra parte, ond' è secreta uscita,
Sta preparato alle riscosse Argante.
La generosa i suoi seguaci incita
Co' detti e con l'intrepido sembiante:
Ben con alto principio a noi conviene,
Dicea, fondar dell' Asia oggi la spene.
14. Mentre ragiona ai suoi, non lunge scórse
Un franco stuolo addur rustiche prede,
Che, com'è l'uso, a depredar precorse,
Or con gregge ed armenti al campo riede.
Ella vêr loro, e verso lei sen corse
Il duce lor, ch'a sè venir la vede:
Gardo il duce è nomato, uom di gran possa;
Ma non già tal, ch'a lei resister possa.
15. Gardo a quel fero scontro è spinto a terra
In su gli occhi de' Franchi e de' Pagani,
Ch' allor tutti gridâr, di quella guerra
Lieti augurj prendendo, i quai fur vani.
Spronando addosso agli altri ella si serra,
E val la destra sua per cento mani:
Seguirla i suoi guerrier per quella strada
Che spianar gli urti, e che s'apri la spada.
16. Tosto la preda al predator ritoglie;

Cede lo stuol de' Franchi a poco a poco,
Tanto che 'n cima a un colle ei si raccoglie,
Ove ajutate son l'arme dal loco.
Allor, si come turbine si scioglie,
E cade dalle nubi aereo foco,

Il buon Tancredi, a cui Goffredo accenna,
Sua squadra mosse, ed arrestò l'antenna.
17. Porta si salda la gran lancia, e in guisa
Vien feroce e leggiadro il giovinetto,
Che veggendolo d'alto il Re, s'avvisa
Che sia guerriero infra gli scelti eletto;
Onde dice a colei ch'è seco assisa,
E che già sente palpitarsi il petto:
Ben conoscer dèi tu per si lungo uso
Ogni Cristian, benchè nell' armi chiuso.
18. Chi è dunque costui, che così bene
S'adatta in giostra, e fero in vista è tanto?
A quella, in vece di risposta, viene
Su le labbra un sospir, su gli occhi il pianto:
Pur gli spirti e le lagrime ritiene,
Ma non così, che lor non mostri alquanto;
Chè gli occhi pregni un bel purpureo giro
Tinse, e roco spuntò mezzo il sospiro.
19. Poi gli dice infingevole, e nasconde
Sotto il manto dell' odio altro desío:
Oimè bene il conosco, ed ho ben donde
Fra mille riconoscerlo deggia io;

Chè spesso
il vidi i campi e le profonde
Fosse del sangue empir del popol mio.
Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga
Ch' ei faccia, erba non giova, od arte maga.

20. Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero
Mio fosse un giorno! e nol vorrei già morto:
Vivo il vorrei, perchè 'n me desse al fero
Desio dolce vendetta alcun conforto.
Così parlava: e de' suoi detti il vero,
Da chi l'udiva, in altro senso è tôrto;
E fuor n'usci con le sue voci estreme
Misto un sospir che 'ndarno ella già preme.
21. Clorinda intanto ad incontrar l'assalto
Va di Tancredi, e pon la lancia in resta.
Ferirsi alle visiere, e i tronchi in alto
Volaro, e parte nuda ella ne resta;
Chè, rofti i lacci all' elmo suo, d'un salto
(Mirabil colpo!) ei le balzò di testa;
E, le chiome dorate al vento sparse,
Giovane donna in mezzo 'l campo apparse.

22. Lampeggiår gli occhi, e folgorâr gli sguardi,
Dolci nell' ira: or che sarían nel riso?
Tancredi, a che pur pensi? a che pur guardi?
Non riconosci tu l'amato viso?

Quest'è pur quel bel volto, onde tutt'ardi;
Tuo core il dica, ov'è suo esempio inciso:
Questa è colei che rinfrescar la fronte
Vedesti già nel solitario fonte.

23. Ei, ch' al cimiero ed al dipinto scudo
Non badò prima, or lei veggendo impetra:
Ella, quanto può meglio, il capo ignudo
Si ricopre, e l'assale; ed ei s'arretra.
Va contra gli altri, e rota il ferro crudo;
Ma però da lei pace non impetra,
Che minacciosa il segue, e, Volgi, grida;
E di due morti in un punto lo sfida.
24. Percosso, il cavalier non ripercote;
Nè sì dal ferro a riguardarsi attende,
Come a guardar i begli occhi e le gote,
Ond' Amor l'arco inevitabil tende.
Fra sè dicea: Van le percosse vôte
Talor che la sua destra armata stende;
Ma colpo mai del bello ignudo volto
Non cade in fallo, e sempre il cor m'ê côlto.
25. Risolve alfin, benchè pietà non spere,
Di non morir, tacendo, occulto amante:
Vuol ch'ella sappia ch' un prigion suo fere,
Già inerme, e supplichevole e tremante.
Onde le dice: O tu, che mostri avere
Per nemico me sol fra turbe tante,
Usciam di questa mischia; ed in disparte
I' potrò teco, e tu meco provarte:
26. Così me' si vedrà s' al tuo s' agguaglia
Il mio valore. Ella accettò l'invito;
E, com'esser senz' elmo a lei non caglia,
Gía baldanzosa, ed ei seguía smarrito.
Recata s'era in atto di battaglia
Già la guerriera, e già l' avea ferito;
Quand' egli: Or ferma, disse, e siano fatti
Anzi la pugna della pugna i patti.
27. Fermossi; e lui, di pauroso, audace
Rendè in quel punto il disperato amore:
I patti sian, dicea, poichè tu pace
Meco non vuoi, che tu mi tragga il core.
Il mio cor, non più mio, s'a te dispiace
Ch' egli più viva, volontario more:

E tuo gran tempo; e tempo è ben che trarlo
Omai tu debbia; e non debb' io vietarlo.

« PreviousContinue »