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» satira delle corti. Lo attesta il pericolo più volte » corso dal Monti di essere esiliato appunto per que»ste tragedie, espressamente vietate anche dal Con

siglio dei dieci in Venezia nel 1796..... lo attesta » la lettera pubblicata sotto il nome di Francesco Pi» ranesi, ove non l'immaginazione, ma l'intelletto e la » storia hanno denunziato all' Europa quanto v'era » di più infame nella corte di Napoli. » E però a gran ragione poteva l'illustre zacintio affermare che il Monti non si sarebbe a tanti pericoli esposto, se il genio della libertà non lo avesse tratto ad affrettare col legato di Francia l'italica rivoluzione, ed usciva giustamente in questa dimanda: « Or dunque se la ca>> rità di consorte, se la paterna pietà, se la niuna > speranza di trarre dal sacrificio qualche vantaggio » spinsero l'affettuoso marito e il tenero padre, le di » cui calamità sarebbero ricadute tutte nei suoi » figliuoli, a mitigare l'ira del potente col canto, che » pur non è che scherzo d'immaginazione, si vorrà dan» narlo ad accattarsi di porta in porta la vita, esule » dalla società, senza patria, senza libertà, senza 1 ? »

>> amore

Si consideri inoltre come l'affetto che per l'ucciso aveva il poeta, che volle renderne il nome immortale, chiaro si manifesta dalla stessa natura della pena immaginata per lui nella cantica, e dalle parole d'infinita pietà onde que'versi riboccano pel Bassville; e ognun vede che se il Monti fosse stato sinceramente. avverso ai principî da lui difesi e propagati, agevole gli sarebbe stato non già dipingerlo come un santo, ma ritrarlo coi più foschi e odiosi colori, e te lo avrebbe senz'altro cacciato in inferno, come fareb

' FOSCOLO, Esame sulle accuse contro V. Monti.

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bero e fan tanti e tanti, che anche senza esercitare officio di poeti o di prosatori, e facendosi anzi vedere tutti infiammati di cristiana carità, si credono in pieno diritto di dispensare a loro talento i premi o le pene della vita eternale; e certo, immemori di quella mansuetudine che pur vanno raccomandando, non si mostrano guari gentili inverso coloro che in politica professano opinioni alquanto diverse. Di più il Monti medesimo si protesta solennemente di non aver mai voluto insultare alle ceneri del misero Bassville, e afferma che il suo poema non era se non che la religiosa redenzione di quello spirito, cui l'angelo conduce a vedere le infinite calamità della sua patria prima di presentarlo all' amplesso di Dio; onde si deve tener per verissimo tutto ciò che il poeta dice al Salfi in quella lettera per provare la verità delle sue affermazioni. Che se egli allora favellando da letterato ebbe gran torto di chiamare miserabile rapsodia quel suo così egregio poema, ciò sempre più ci dimostra quanto fosse alto il suo sdegno contro tutte quelle cose che avesser potuto dare a credere altrui ch'egli fosse stato troppo amico del papale dominio e avverso ad ogni libera instituzione. E si guardi che alla fine egli nella sua cantica altro non fa che condannar fieramente la licenza di Francia, ed esaltare non già la corte di Pio VI, sì bene la chiesa, la religione e il pontefice, come capo di quella, punto non impacciandosi delle cose terrene; e se i cortigiani si dettero a credere, o vollero far credere altrui, che il poeta si fosse fatto campione e sostegno della loro tenebrosa congrega e del possedimento di quelle povere aiuole che li fanno tanto feroci, essi ben furono

1 Note alla lettera al Bettinelli.

gl'ingannati o gl'ingannatori, ma il Monti chiaro dimostrò che lodando la chiesa, sapeva sceverarla dalle colpe della curia che le recavano onta e disprezzo. Ogni volta che glie se ne porgeva il destro celebrava anche in quella cantica il valore degl' italiani, siccome colà dove ricorda il coraggio da loro spiegato nel contrastare al nemico,

« Ed Oneglia che ancor combatte e fuma, »

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e cercava con ogni suo potere di fare a tutti conoscere ch'egli per fermo non era devoto a tirannide, e che solo una fatale combinazione di circostanze lo aveva fatto giudicare partigiano del dispotismo; 2 e aprendo una volta a un fidato amico il suo cuore, diceva: << Possibile che il giudizio degli uomini debba por> tarsi sempre sopra quattro parole rimate, e non » mai sopra le mie azioni? Possibile che la virtù non

debba trovare mai la sua ricompensa?..... Non ho » mire ambiziose, nè il mio cuore sarà mai accessi» bile a questa bassa passione. Quindi avrei amato » un destino a cui l'invidia non giunge; ma questo » flagello degli uomini onesti mi si è attaccato alla » carne, e non spero di mai liberarmene, a meno che » non prenda il partito di divenir scellerato per di» venir fortunato. COMPRENDI DA QUESTO CHE SARÒ SEMPRE » INFELICE. » Detti santi e magnanimi che mostrano di qual salda tempera fosse la virtù del buon Monti.

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Bassville, C. I.

2 Lett. al Salfi.

3 Lett. al Costabili, 5 settembre 1798. Il Cantù nella Vita del Monti omette (forse per dimenticanza) proprio queste ultime generose parole, le quali sono poco appresso confermate nella stessa lettera così: « So questo solo, che mi sono ostinato ad es» sere galantuomo. »

Ma tornando alla famosa lettera al Salfi, da cui per avventura soverchiamente mi son dilungato, gioverà qui recare le stesse parole del travagliato poeta: « Io era l'intimo amico dell'infelice Bassville; esiste» vano in sue mani quando fu assassinato delle carte » che decidevano della mia vita; mi spaventavano >> le incessanti ricerche che facevansi dal governo per

iscoprirne l'autore; m'impediva di fuggire il dolo>> roso riflesso che la mia fuga avrebbe portata seco » la totale rovina di mia famiglia; non più sonno, non » più riposo, nè sicurezza; il terrore mi aveva scon» volto la fantasia, mi agghiacciava il pensare che i >> preti sono crudeli e mai non perdonano, non mi » rimaneva insomma altro espediente che il coprirmi d'un velo, e non sapendo imitare l'accortezza di » quel romano che si finse pazzo per campare la vita, » imitai la prudenza della Sibilla che gittò in bocca » a Cerbero l'offa di miele per non essere divorata.

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» Potrei qui rivelare altre più cose gravissime, la » cognizione delle quali compirebbe le mie discolpe; » ma vi sono alle volte de' segreti terribili che non >> si possono violare senza il consenso di chi n'è par» tecipe, ed è pur meglio il lasciar debole talvolta » la propria difesa, che il mancare d'onestà, di pru» denza, di gratitudine.

» Forse direte (ed altri me l'hanno già ripetuto) » che la fierezza di alcuni tratti di quella cantica » inducono facilmente il sospetto che l'anima del poeta » non fosse discorde poi tanto da ciò che suonano le

I Il Monti non ci dice mai che carte fossero, nè altri, chio sappia, ce ne porge il menomo indizio. In difetto di notizie probabili e d'ogni lume per ricercarle, mi parrebbe vanità voler indovinare la loro natura.

» sue parole, e che parecchie di quelle cose fa d'uopo » averle profondamente sentite per ben dipingerle. » Alla quale imputazione risponderò schiettamente che » costretto a sacrificare la mia opinione, mi sono ado» prato di salvare se non altro la fama di non cattivo » scrittore. L'amore dunque di qualche gloria poetica » prevalse al rossore di mal ragionare, in un tempo >> massimamente in cui tant'altri mal ragionavano, e » quattordici edizioni che nello spazio di soli sei mesi >> furono fatte di quella miserabile rapsodia, m'avreb» bero indotto a credere d'aver conseguito il mio » fine.

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Noi non possiamo dubitare per alcun modo che queste parole, le quali Vincenzo Monti al Salfi scriveva per farlo capace che la somma e meravigliosa efficacia delle sue terzine non era già indizio del suo pensare servile, fossero vane ciance e scuse mentite. Ci è forza invece ammirare la rara sua gentilezza, per la quale amava meglio lasciare imperfette le proprie discolpe, che recar danno agli amici rivelando segreti che le avrebbero fatte piene; e altamente lodarlo che per iscusarsi si stesse contento al far ben conoscere al Salfi quale fosse appunto lo stato dell'animo suo allorchè si accingeva a dettare i suoi canti. A tutti è noto ch'egli riproducendo fedelmente, quasi specchio tersissimo, ogni esterna impressione, qualunque fosse il subbietto che pigliava a trattare, scriveva sempre le sue poesie sotto una irresistibile inspirazione, alla quale bastava per essere desta e infiammata la più lieve scintilla, onde i versi gli riuscivano

I Lett. al cittadino Salfi, 18 giugno anno I repubblicano (1797). Insieme con questa lettera il Monti mandava al Salfi il Fanatismo, la Superstizione e il Prometeo per meglio provargli non essere scrittore servile.

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