ARGOMENTO In quest'ultimo Canto si tratta della quarta, ed scrive come salirono a riveder le stelle. VEXILLA EXILLA REGIS PRODEUNT INFERNI, Disse 'l maestro mio, se tu 'l discerni. 4 Come quando una grossa nebbia spira, O quando l'emisperio nostro annotta, Par da lungi un mulin, che 'l vento gira. 7 Veder mi parve un tal dificio allotta: Poi, per lo vento, mi ristrinsi retro Al duca mio; che non v' era altra grotta. 10 Già era (e con paura il metto in metro) Là dove l'ombre tutte eran coverte, E trasparean, come festuca in vetro, 13 Altre stanno a giacere, altre stanno erte, Quella col capo, e quella con le piante: Altra, com'arco, il volto a' piedi inverte. 16 Quando noi fummo fatti tanto avante, 19 Ch' al mio maestro piacque di mostrarmi La creatura, ch' ebbe il bel sembiante, Dinanzi mi si tolse, e fe' restarmi, Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco, Ove convien che di fortezza t'armi. 22 Com' io divenni allor gelato e fioco, Nol dimandar, Lettor, ch'i' non lo scrivo, Però, ch' ogni parlar sarebbe poco. 25 l' non mori', e non rimasi vivo: Pensa oramai per te, s' hai fior d' ingegno, Qual' io divenni, d'uno e d'altro privo. 28 Lo'mperador del doloroso regno Da mezzo 'l petto uscía fuor della ghiaccia : E più con un gigante i' mi convegno, 31 Che i giganti non fan con le sue braccia: Vedi oggimai, quant' esser dee quel tutto, Ch'a così fatta parte si confaccia. 34 S'ei fu sì bel, com' egli è ora brutto, E contra 'l suo Fattore alzò le ciglia; Ben dee da lui procedere ogni lutto. 37 Oh quanto parve a me gran maraviglia, Quando vidi tre facce alla sua testa! L'una dinanzi, e quella era vermiglia; 40 L'altre eran due, che s' aggiungéno a questa, Sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla, E si giungéno al luogo della cresta ; 43 E la destra parea tra bianca e gialla: La sinistra a vedere era tal, quali Vengon di là, ove 'l Nilo s' avvalla. 46 Sotto ciascuna uscivan duo granďali, Quanto si conveniva a tant' uccello: Vele di mar non vidio mai cotali. 49 Non avén penne, ma di vispistrello Era lor modo; e quelle svolazzava, Sì che tre venti si movén da ello, 52 Quindi Cocito tutto s'aggelava: Con sei occhi piangeva, e per tre menti 55 Da ogni bocca dirompea, co' denti, Sì che tre ne facea così dolenti. 58 A quel dinanzi il mordere era nulla, Verso 'l graffiar, che tal volta la schiena 61 Quell'anima lassù che ha maggior pena, Che'l capo ha dentro, e fuor le gambe mena. 64 Degli altri duo, che hanno 'l capo di sotto, Quei che pende dal nero ceffo, è Bruto: Vedi, come si storce, e non fa motto: 67 E l'altro è Cassio, sì membruto. Ma la notte risurge, e oramai È da partir, che tutto avém veduto. 70 Com' a lui piacque, il collo gli avvinghiai: Ed ei prese di tempo e luogo poste: E, quando l'ale furo aperte assai, 73 Appigliò sè alle vellute coste: Di vello in vello giù discese poscia, Tra'l folto pelo e le gelate croste. 76 Quando noi fummo là, dove la coscia Si svolge appunto in sul grosso dell' anche, Lo duca, con fatica e con angoscia, 79 Volse la testa, ov' egli avea le zanche, E aggrappossi al pel, come uom che sale; SESSA 73 Appigliò sè. Sè, senza contraposizione. DA FINO 60 Brulla, nuda. Sì che in Inferno i̇' credea tornar anche. 82 Attienti ben, che per cotali scale, Disse'l maestro, ansando com' uom lasso, 85 Poi uscì fuor per lo foro d'un sasso, La gente grossa il pensi, che non vede 94 Levati su, 97 Non era camminata di palagio, Là 'v'eravám, ma natural burella, Ch'avea mal suolo, e di lume disagio. 100 Prima ch'i' dell' Abisso mi divella, Maestro mio, diss' io, quando fu' dritto, A trarmi d'erro un poco mi favella: 103 Ov'è la ghiaccia? e questi com'è fitto Si sottosopra? e come'n si poc'ora, |