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Punisce i falsator, che qui registra. 58 Non credo, ch'a veder maggior tristizia Fosse in Egina il popol tutto infermo,

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Quando fu l'aer sì pien di malizia,
61 Che gli animali, infino al picciol vermo,
Cascaron tutti; e poi le genti antiche,
Secondo che i poeti hanno per fermo,

64 Si ristorar di seme di formiche;

Ch' era a veder, per quella oscura valle, Languir gli spirti, per diverse biche. 67 Qual sovra 'l ventre, e qual sovra le spalle L'un dell'altro giacea, e qual carpone Si trasmutava, per lo tristo calle. 70 Passo passo andavam, senza sermone, Guardando, e ascoltando gli ammalati, Che non potean levar le lor persone. 73 Io vidi duo sedere a sè appoggiati, Come a scaldar s'appoggia tegghia a tegghia, Dal capo a' piè di schianze maculati:

76 E non vidi giammai menare stregghia
A ragazzo, aspettato da signorso,
Nè da colui, che mal volentier vegghia,

SESSA

60 Malizia dell'aer. v. r.
61 Vermo. v. r.

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57 Qui registra, tra noi è

66 Biche, mucchi, onde registrato. abbica.

75 Schianze. v. r.

58 a 64 Comparazione.

76 a 78 Comparazione.

79 Come ciascun menava spesso il morso Dell' unghie, sovra sè, per la

gran rabbia Del pizzicor, che non ha più soccorso. 82 E si traevan giù l'unghie la scabbia, Come coltel di scardova le scaglie, O d'altro pesce, che più larghe l'abbia. 85 O tu, che con le dita ti dismaglie,

Cominciò 'l duca mio a un di loro, E che fai d'esse tal volta tanaglie, 88 Dimmi, s'alcun Latino è tra costoro,

Che son quinc' entro, se l' unghia ti basti Eternalmente a cotesto lavoro. 91 Latin'sem'noi, che tu vedi sì guasti,

Qui ambodue, rispose l' un piangendo: Ma tu chi se', che di noi dimandasti? 94 E'l duca disse: I' sono un, che discendo, Con questo vivo giù di balzo in balzo, E di mostrar l'Inferno a lui intendo. Allor si ruppe lo comun rincalzo ;

97 Allor si

E tremando ciascuno a me si volse Con altri, che l'udiron di rimbalzo. 100 Lo buon maestro a me tutto s' accolse, Dicendo: Di' a lor ciò, che tu vuoli:

SESSA

89 Quinci entro. v. r.

DA FINO

85 Dismaglie, serosti.

87 Traslazione.
97 Rincalzo, sostegno.
99 Di rimbalzo, per eco.

Ed io incominciai, poscia ch' ei volse: 103 Se la vostra memoria non s'imboli,

Nel primo mondo, dall'umane menti,
Ma s' ella viva sotto molti Soli,
106 Ditemi chi voi siete, e di che genti:
La vostra sconcia e fastidiosa pena

Di palesarvi a me non vi spaventi. 109 I'fui d' Arezzo, e Albero da Siena,

Rispose l'un, mi fe' mettere al fuoco:

Ma quel, perch' io morï', qui non mi mena. 112 Ver'è, ch'io dissi a lui, parlando a giuoco, I'mi saprei levar per l'aere,a volo:

E quei, ch'avea vaghezza, e senno poco, 115 Volle, ch'i' gli mostrassi l'arte, e solo Perch'i' nol feci Dedalo, mi fece Ardere a tal, che l'avea per figliuolo: 118 Ma nell'ultima bolgia delle diece

Me, per l'alchimia, che nel mondo usai, Dannò Minós, a cui fallir non lece. 121 Ed io dissi al poeta: Or fu giammai Gente sì vana, come la Sanese ?

Certo non la Francesca sì d'assai.

124 Onde l'altro lebbroso, che m'intese,

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Rispose al detto mio: Tràne lo Stricca,
Che seppe far le temperate spese;
127 E Niccolò, che la costuma ricca
Del garofano prima discoperse

Nell' orto, dove tal seme s' appicca; 130 E tràne la brigata, in che disperse

Caccia d'Ascian la vigna e la gran fronda, E l'Abbagliato il suo senno profferse. 133 Ma perchè sappi, chi sì ti seconda

Contra i Sanesi, aguzza ver me l'occhio, Sì che la faccia mia ben ti risponda: 136 Si vedrai, ch'i' son l'ombra di Capocchio, Che falsai li metalli, con alchimia, E ten' dee ricordar, se ben t'adocchio,

139 Com'ï' fui di natura buona scimia.

DA FINO

127 e 128 La costuma ricca Del garofano, pietanza di servizio di garofani.

129 In Siena.

131 Gran fronda, gran bosco.

132 Cioè dimostrò, così il suo consumando.

139 Scimia, imitatore.

CANTO XXX.

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ARGOMENTO

Tratta il Poeta in questo trentesimo Canto di tre altre maniere di Falsificatori. Di quegli che hanno finto sè essere altri; la cui pena è di correre, e di morder coloro, che hanno falsificate le monete, che sono della seconda maniera; ed hanno per pena l'essere idropici, e sempre stimolati da sete. L'ultima è di coloro, che hanno falsificato il parlare: e questi, giacendo l'uno sopra l'altro, sono offesi d'ardentissima febbre. In fine introduce a contendere insieme uno Maestro Adamo, e Sinone da Troja.

Nel

tempo, che Giunone era crucciata, Per Semele, contra 'l sangue Tebano, Come mostrò una e altra fíata,

4 Atamante divenne tanto insano,

Che, veggendo la moglie, co' duo figli, Andar carcata da ciascuna mano, 7 Gridò: Tendiam le reti, sì ch' io pigli La lionessa, e i lioncini al varco; E poi distese i dispietati artigli,

10 Prendendo l'un, ch' avea nome Learco, E rotollo, e percosselo ad un sasso, E quella s'annegò con l'altro incarco:

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