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Dalla Società Tipografica DE' CLASSICI ITALIANI,

contrada di s. Margherita, N.° 1118.

ANNO 1804.

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COLLEGE

LIBRARY

PREFAZIONE

Fra

ra gli altri mali gravissimi, che l'Italia soffri, allorchè fu preda dei barbari, certamente non fu il minore quello di avere perduta la lingua Latina, la quale in qualche modo si era sempre a lei conservata. Per lo che oltre alla confusione comune e mostruosa mescolanza, che portò seco il conversare cogli stranieri, perchè nel tempo stesso ch'eglino procuravano col Latino di farsi capire dagl' Italiani, questi a vicenda imparavano ed usavano alcune voci dei medesimi, devesi pur dire che ogni più piccola parte di questo bel paese ebbe fino d'allora un dialetto suo proprio. Malgrado questa varietà

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alcuni scrittori anche prima di Dante aveano cominciato a scegliere una voce da questo dialetto, ed un'altra da un altro, per ordinare una lingua, che a tutta l'Italia comune fosse in avvenire; ma nissuno riuscì meglio in questa sì bella ed utile impresa quanto Dante Alighieri, in quella sua opera da lui chiamata Commedia, che gli acquistò il glorioso titolo di vero poeta non meno che di padre dell'Italiana favella, e che per l'eccellenza sua tanto per l'un pregio quanto per l'altro, fu dal consenso della posterità appellata divina.

Qui sarebbe opportuno luogo di dilungarci nel dare un pieno giudizio di questo Autore; ma qual cosa potrebbesi dire da noi, che non sia stata detta mille volte da mille altri?. Perciò omettendo di raccogliere tutto ciò, che in lode o in biasimo di Dante è stato finora scritto, noi ci atterremo al fino ed imparziale giudizio, che ne diede l'immortale Parini, che sta in una di quelle Lezioni, nelle quali mentr'egli mostrava di quanta penetrazione e di quanto buon gusto era fornito in tutto ciò che avea rapporto alle Belle Lettere, altrettanto felicemente procurava d'infonderlo in quelli, che già ebbero la sorte di ascol tarlo. Pertanto dopo d'aver egli detto, che le Scritture anteriori a quelle di Dante, per essere d'un genere assai mediocre, non sarebbero per avventura uscite di To

scana, e che non più di esse la lingua, in cui erano estese, avrebbe oltrepassati gli stretti confini, ov'era nata, se tre sublimi spiriti Dante Alighieri, Francesco Petrarca, e Giovanni Boccaccio, tutti e tre Fiorentini, non sorgeano, che in pochissimo tempo si grand'ali le diedero, che fuori la spinsero del suo nido, e la fecero volare per tutta l'Italia con felicissimi augurj; cost in particolare entra a discorrere del nostro Poeta.

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» Dante uomo d'ingegno acutissimo, » e di grande e libera fantasia, assueffat»to fino dalla giovinezza, ad alternare fra » l'arme e fra gli studi in mezzo alle fa»zioni, ed alle turbolenze della sua pa

tria, quindi ad amministrare nelle subli» mi cariche gli affari più importanti e sca » brosi della Repubblica Fiorentina; e di » poi agitato continuamente fra le varie » fortune di un perpetuo esilio; fu il pri»mo, che trasferendo l'entusiasmo della » libertà politica anche negli affari delle » lettere, osò scuotere il giogo della vene» rata latinità de'suoi tempi, e levare da » terra il per altro timido volgare della » sua città, e condurlo di sbalzo a trat»tare in versi l'argomento più forte, e » più sublime, che a Scrittore, ed a Poe»ta Cristiano potesse convenirsi giam» mai. »

» L'Italia era di que' tempi divisa in fazioni, comandata in gran parte da

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